“In uno stato libero gli uomini sono liberi di curare i boschi”. Oppure: “Non è necessario essere compagni per cantare bene”. Perle di saggezza dal Salvini-pensiero. Esposto in un discorso a braccio che ricorda il Bossi dei tempi migliori – abbracciato prima di salire sul palco dopo le polemiche di ieri: molte parole, volume alto, concetti zero. Almeno apparentemente.

Salvini in realtà parla eccome e tocca tutti i temi: rom, gay, immigrazione, Europa, caccia, pesca, sanità, fisco, intellettuali, sinistra e destra, Fedez (!). Il leader leghista dà persino la sua ricetta sulla cura del suolo (“gli alberi vanno tagliati, altrimenti il terreno si impoverisce”). Si corregge sui campi rom: “Con la ruspa mandiamo via Renzi per prima cosa”. Infila qualche strafalcione: “Vado a esaurirmi”. Ma per fortuna risolve definitivamente il dilemma di Gaber su destra e sinistra: “Non esistono più, esistono produttori e parassiti”. E dice quello che Renzi vorrebbe ma non riesce a dire: “Chissenefotte di Alfano“.

Con un mix di buonismo verde (bimbi bianchi e neri sul palco) e di vecchio celodurismo – “voglio morire in piedi, non in ginocchio” – partono aperture agli intellettuali – “grazie ai giornalisti non schierati” e insulti agli intellettuali: “Il mio discorso l’ho scritto stamattina su un foglietto, me ne frego di gerundio e participio passato, il mio discorso siete voi”. E poi la citazione di Einaudi (giuro!) e all’uomo qualunque, custode del vero braciere che anima Pontida: “Grazie a quel signore che da ieri sta cuocendo quintali di salamelle”. Amen.

Verrebbe da ridere se non fosse tutto vero e se la Lega non fosse accreditata oggi del 14% alle urne. Nemmeno la parodia di Crozza riesce a infilare tanti luoghi comuni sconnessi l’uno dall’altro. E Cetto Laqualunque potrebbe avere un sequel solo facendo recitare ad Albanese le parole del segretario leghista. Che riesce a farsi capire benissimo senza dire niente, infilando qua e là cose giustissime (chi non vuole le tasse al 15%?) in mezzo a un diluvio di parole che le agenzie faticano persino a ribattere. Tanto che alla fine non esce quasi niente, se non l’ennesimo riferimento al Papa (avrà visto gli esodati oltre che i rom?).

L’analogia con il Bossi del dio Po e del priapismo padano non finisce qui. Perché la tentazione di ridere di fronte a Salvini è la stessa che fece ridere la sinistra di fronte agli exploit del Senatur. Ieri era la canotta, oggi la ruspa. Alla fine il leghismo ha solo allargato obiettivo e nel giro di un anno, dagli scandali che l’hanno quasi azzerata riesce a tirare fuori la linfa movimentista della nascita. E mentre la sinistra è ancora ferma alla questione settentrionale (mai capita), la destra di Salvini (ex comunista padano) approfitta delle praterie lasciate dagli avversari per esportare anche al Sud le basi del consenso padano: solidarietà interna al gruppo, nessuna pietà per chi sta fuori. Quali siano il fuori e il dentro non è all’ordine del giorno: si decide di volta in volta a seconda della convenienza.

E qui sta la genialità della pochezza di Salvini: stimolare tutti gli appetiti di tutti gli elettori senza soddisfarne uno. Vellicare la pancia padana e quella pugliese allo stesso tempo. Il leader sembra saperlo e con la sua voce impostata come quella di Bossi, solo un po’ meno rauca, predica la calma urlando. Nega con rabbia la rabbia. E pazienza se il pubblico di Pontida sembra più stordito che entusiasta. Un pratone così pieno la Lega non lo vedeva da un po’. Del resto, il leader lo ha detto chiaramente già ieri: il partito nazionale serve. I voti del sud saranno anche brutti – ricordate il Salvini 1.0 di “chi non salta napoletano è”? – ma sono sempre voti.

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