Tanti e tanti anni fa, nel lontano paese di Furbilandia, la genia dei famelici draghi Smaug regnava su un piccolo popolo che aveva smarrito la dignità, accontentandosi ormai di raccattare qualche briciola caduta dal banchetto dei padroni.

I furbilandesi erano stati ridotti a quello stato di miseri questuanti dall’incantesimo di un bieco mago ghignante e riccone – Sylvius Ganassa – il quale aveva saputo imprigionare l’intera comunità nello specchio stregato di un immenso tubo catodico, che deformava la percezione della realtà colonizzando le menti dell’audience: dopo mesi e mesi di esposizione agli effetti distorcenti, prodotti dalle manipolazioni psichedeliche proprie del virtuale, quei meschini avevano subito la definitiva manomissione dei freni inibitori, perdendo ogni autonomia di giudizio. Ormai erano pronti a esprimere apprezzamento desiderante per qualsivoglia bassezza; agognare di procurarsi, senza badare al costo, l’intera gamma degli oscuri oggetti del desiderio consumistico, loro indotto dallo stregone Sylvius nella sua versione imbonitoria.

Dunque, arrivare alla truffa, alla corruzione e alla concussione pur di entrare nel giardino incantato della cafoneria e poter scorrazzare su un mastodontico Suv per le stradine di città d’arte e storia, mettendole a repentaglio, considerare il massimo del buon gusto dilapidare patrimoni per una serata in qualche bettola da riccastri rifatti, magari billionari; tra pupe del gangster e tronisti lampadati. Godere della vicinanza del boss di quel locale, gonfio di bagordi e dalla faccia di bronzo; tanto da sembrare una scultura di Fernando Botero (il colombiano specializzato nel ritrarre obesi).

Seduti su montagne d’oro, i draghi assistevano compiaciuti al rimbecillimento del popolo, che così non sarebbe mai più stato in grado di creare loro complicazioni. Anche perché gli avevano tolto l’unica arma in grado di sconfiggerli: la spada chiamata “politica”, sepolta in una grotta arcana nella montagna del Chissenefrega; avvolta nei fetidi effluvi gassosi del farsi-gli-affaracci-propri.

Se poi qualche testa calda, ancora sopravvissuta alla pulizia etnica, osava far sentire la propria voce, ecco risuonare le parole magiche che l’avrebbero immediatamente messa a tacere. La più efficace era “populista”; che non stava certo a significare “critico di provvedimenti anti-popolari”, bensì “irresponsabile sovvertitore di un ordine giusto e naturale”. Di fatto, “un comunista”.

La stirpe dei draghi ingordi di ricchezze si ripartiva in generi differenti: dallo sbulinato in felpa blu e attitudini mordaci (modello Sergio M.) a quello azzimato e dai toni birignaosi (Modello Luca C.d.M.), c’era quello svaporato (modello Lapo E.) e persino l’apparente mutante con pretese di impresario culturale amico del popolo (modello Carlo D.B.); infine non poteva mancare nel branco la femmina da combattimento e riporto (modello Emma M.).

Comunque, nonostante le varianti, la natura intrinseca della specie restava immutata: un’irrefrenabile avidità, combinata con l’avversione (già di pelle) per quel terribile contagio chiamato “democrazia”. La cui diffusione andava bloccata a ogni costo.

A tale scopo servivano alla perfezione i guardiani dell’impolitica; nella loro veste di maghi illusionisti, capaci di imbambolare il piccolo popolo facendogli giocare la partita innocua chiamata elezioni.

Per oltre vent’anni aveva dominato la scena Sylvius Ganassa, ma ormai il suo invecchiamento risultava evidente, nonostante le pozioni e le tinture. Tanto da renderlo incartapecorito e svanito, sempre meno affidabile. Per questo era stato creato un suo clone, l’apprendista stregone che assicurasse un altro ventennio di controllo sul paese: il maghetto Matteus.

Tuttavia la nuova entrata presentava gravi difetti. In particolare gli si inceppava la parlata sicché – tra un’acca aspirata e l’altra – emetteva discorsi incomprensibili, tradotti in decisioni prive di senso: “la buona scuola” come apoteosi del bordello (con il preside a fare la madama), il “jobs act” per creare disoccupazione in act e controlli polizieschi sul job… Tanto da determinare in una parte sempre crescente di furbilandesi il risveglio dal lungo sonno ipnotico dei passati incantamenti.

Allora – aprendo gli occhi – ci si rese conto di quanto la situazione fosse insostenibile; che il regno dei draghi e dei loro stregoni andava abbattuto. Che bisognava recuperare l’arma della buona politica, inopinatamente sepolta negli anfratti dementi del Chissenefrega. E ci si mise in cammino oltre la desolazione…

(continua)

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