Ci sono storie che meritano di essere raccontate. E poi ci sono storie che devono essere raccontate.
La vita di Bebe Vio è una di quelle.

“Chi è Bebe Vio?”, le domando in un’intervista durante il programma che conduco con i miei soci del Trio Medusa, la mattina su Radio Deejay.
E’ una ragazza come tante altre. Che ama lo sport, uscire con le amiche a bersi uno Spritz”.

Ma che sia una persona eccezionale lo sa anche lei.
E’ solo stufa di sentirselo dire. Eppure è un dato di fatto.

A seguito di una meningite acuta, quando aveva 11 anni le sono stati amputati gli avambracci e le gambe, sotto le ginocchia. I suoi 104 giorni di ospedale, la sua storia, l’ha raccontata nel libro ‘Mi hanno regalato un sogno.

E’ minuta Bebe. Tranne quando ha un fioretto in mano.
Lì diventa un gigante. Ha vinto la Coppa del Mondo nel 2014, due medaglie d’oro – nello stesso anno – ai Campionati Europei. Più altri due ori ai Mondiali under 17.
L’occasione della visita di Bebe in radio è legata ai Giochi senza Barriere, che si terranno a Milano il 27 giugno. “Una festa. Dello sport. Atleti normodotati e paratleti insieme”.

Jovanotti, nella prefazione del libro, scrive “che Bebe ci costringe ad essere migliori”. Ci schiaccia sui nostri limiti. Sulle nostre lamentale, sulle normali difficoltà quotidiane. Se qualcuno scala una montagna senza gambe, lamentarsi di una cunetta sembra davvero fuori luogo.

“Abbiamo fatto gioco di squadra con la mia famiglia e abbiamo superato, insieme, questo momento di difficoltà”. Non c’è auto compiacimento. Eroismo. C’è una ragazza che parla della sua storia. L’ha accompagnata la mamma. E se pensi “io non sarei mai stato bravo come te, Bebe”, non puoi non pensare anche “io non sarò mai così bravo come padre”.

Leggete la storia di Bebe. Perché deve essere conosciuta.
Perché il suo sogno è diventare Presidente del Coni. E io credo che ce la farà.

Perché è una storia pazzesca. Di forza, coraggio, incoscienza.

Parla di una famiglia vera. Che si stringe, si unisce, vince su tutto. Sulla malattia e sulla paura.

E’ una storia che ti spinge ad essere migliore, è vero.
E le storie così devono essere raccontate.

Grazie, Bebe, per averlo fatto.

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