Pagare le tasse è bello, disse un ministro molti anni fa. E’ ciò che forse pensano nei paesi scandinavi dove ad un peso fiscale di circa il 40% gli Stati restituiscono tutto o quasi in servizi fondamentali (istruzione, sanità, giustizia, ordine pubblico, pubblica amministrazione efficiente) essenziali per la convivenza civile e per poter qualificare un Paese come Stato civile, oltre che in welfare. Paesi nei quali il rapporto col fisco (e dunque con lo Stato-amministrazione e con lo Stato-legislatore) è chiaro, leale, corretto, trasparente, semplice. Sai quanto paghi in anticipo, pagherai con modalità semplici, se avente titolo potrai godere di detrazioni.

L’Italia non è un Paese scandinavo ma non può nemmeno definirsi un Paese civile. Si colloca tra i Paesi del quarto mondo, giustappunto come lo ‘Stato libero di bananas’. Vi ricorderò perché.
Siamo giunti al tax day e la maggior parte dei cittadini si appresta a pagare (anche fino al 70%) molti acronimi inquietanti (Irpef, Irap, Imu, Tasi, Tari, Iva etc.), necessitati a comprendere cosa e quanto attraverso un mediatore linguistico o culturale: il commercialista. Questa è la prima (I) grottesca anomalia, se non hai un commercialista (ovviamente adeguatamente ricompensato) non riesci a gestire (contenere, direi) il rapporto col fisco. Perché il fisco si presenta come incomprensibile, indecifrabile, ostico, sorprendente (solo pochi giorni prima del termine scopri quanto versare, col federalismo ad cazzum regionale e comunale). Altrove (nei Paesi civili) non serve alcun mediatore. In Italia oltre all’insostenibile peso fiscale, hai l’onere del commercialista. Peraltro pure i commercialisti denunciano da anni una fiscalità incomprensibile e insostenibile. Inascoltati.

agenzia delle entrate_640

Altra anomalia (II) è il rapporto assolutamente impari col “fisco”: il contribuente ha solo doveri ma non ha diritti. E’ carne da cannone per abbattere il debito pubblico (che i generali hanno nei decenni creato) e per offrire metadone allo Stato tossico (di spesa pubblica parassitaria, di gestione mediocre, di elargizione di posti agli amici degli amici, di tangenti). In realtà avrebbe tanti diritti: da quelli sanciti dalla Carta costituzionale (riserva di legge, progressività etc.) a quelli ribaditi dallo Statuto del contribuente. Ma di essi l’Agenzia delle Entrate fa carta straccia – assurgendo a potere incontrollabile e generando un contenzioso abnorme che poi appesantisce la giustizia (e dunque costa alla collettività) – atteso che produce una quantità abnorme di circolari e pareri che violano la riserva di legge (già violata direttamente dall’esecutivo che legifera ben al di là delle leggi delega) pretendendo di porsi come fonti e che quotidianamente calpesta lo Statuto dei diritti del contribuente.

Si aggiungano poi gli espedienti (III) introdotti dal legislatore furbetto e disonesto quali: il principio solve et repete; il Durc che legittima la Pubblica Amministrazione a non pagare chi non è in regola con l’Inps e la aberrante negazione della compensazione (talché il contribuente è frodato due volte: da creditore impotente e poi da debitore vessato); la dilazione in eterno dei pagamenti da parte della P.A.; l’obbligo di fatturazione elettronica; la giustizia (tributaria, ordinaria e amministrativa) che applica il principio “due pesi e due misure”, condannando pesantemente il privato alle spese legali se soccombe e all’opposto raramente la P.A.; l’accertamento “temerario” o ragionevolmente improbabile dell’Agenzia delle Entrate per somme minori (entro qualche migliaio di euro) che suggerisce la convenienza al privato di pagare e non di difendersi, etc.

Un’altra grave e abnorme anomalia (IV) sta nella manifesta violazione del principio di uguaglianza ove si pensi che il cittadino, a seconda della Regione o del Comune dove risiede o dove ha le proprietà è chiamato a corrispondere le cosiddette imposte locali con aliquote ben difformi, a fronte dell’identico costo della vita!

A latere l’anomalia (V) dei contributi previdenziali che violano il principio di uguaglianza e il patto tra generazioni rendendo profondamente diversi chi versa il 20% da chi ne versa il 30%, tra chi sazia le pance satolle dei baby pensionati, dei falsi invalidi e dei politicanti col vitalizio, di chi col retributivo ha coperto solo in minima parte la propria pensione, e di chi è “cornuto e mazziato” come i professionisti intellettuali che pagano i propri contributi e doppiamente pagano con le imposte i contributi altrui erogati dall’Inps!

Infine, una anomalia di respiro comunitario (VI) è la assoluta non uniformità del fisco nell’Unione Europea che agevola alcuni Paesi in danno degli altri, creando disuguaglianze economiche e sociali.

Ma l’elenco è infinito. Contribuenti o sudditi servi?

Articolo Precedente

Social eating, una casa non è un ristorante: ‘Pirati’ tra i fornelli è davvero troppo!

next
Articolo Successivo

Burocrazia, il cappio che strangola gli italiani

next