I rimborsi previsti dal governo per i pensionati danneggiati dalla mancata rivalutazione degli assegni costituiscono “una restituzione assai parziale, meno del 12% del totale, della mancata indicizzazione”. Ma “concentrano le limitate risorse nelle classi di pensionati con redditi più bassi”: il 67,5% delle risorse complessive stanziate, pari a 2,8 miliardi lordi e 2,2 netti, andrà infatti alla classe che riceve trattamenti da tre a quattro volte il minimo, cioè tra i 1.500 e i 2mila euro al mese. A fare i conti è l’Ufficio parlamentare di bilancio in un documento che stima gli “effetti redistributivi sulla finanza pubblica” del decreto varato il 18 maggio per mettere una pezza al buco aperto dalla sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione introdotto dal governo Monti. Decreto contro il quale associazioni dei consumatori e dei dirigenti di azienda hanno già annunciato nuovi ricorsi.

“Con la restituzione integrale dell’indicizzazione la classe di pensionati con assegni da 3 a 4 volte il minimo, che contava quasi la metà degli interessati, avrebbe ricevuto il 34% delle risorse complessive”, ha spiegato il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. “Con il decreto riceve il 67% delle risorse complessive, che sono però di molto inferiori. Mentre l’ultima classe, quella con assegni oltre 6 volte il minimo e in cui è il 15% della platea, avrebbe ricevuto il 27-28% e ora non riceve nulla”. Pisauro ha ricordato anche che “tutta la questione non tocca il 70% dei pensionati, che hanno una pensione fino a 3 volte il minimo” e che quindi non sono stati interessati dal 2011 dal blocco dell’indicizzazione. I coinvolti sono quindi 4,4 milioni, una platea che riceverà una restituzione definita appunto “assai parziale”, meno del 12% rispetto al totale stimato.

Gli arretrati che saranno restituiti ai pensionati vanno da 816,4 euro per le fasce più basse a 319,8 euro per le più alte. La restituzione integrale per il triennio 2012-2014 sarebbe rispettivamente di 3.008 euro e 4.157 euro, quindi il provvedimento restituisce tra il 27,1% e il 7,7% della somma complessiva. “In media per la classe di pensionati con assegni di importo tra 3 e 4 volte il minimo la mancata indicizzazione, avuta per effetto dei decreti del 2011, ha comportato una perdita del 4,8%. Il dl Pensioni ha ridato l’1%, quindi rimane un 3,8% di perdita. Per la fascia oltre 6 volte il minimo la perdita era il 4,5%, non è stato restituito nulla e quindi la perdita resta il 4,5%”.

Le simulazioni dell’organismo incaricato di vigilare in modo indipendente sui conti pubblici e valutare l’impatto macroeconomico dei provvedimenti calcolano in modo puntuale sia l’effetto diretto del decreto, dovuto all’aumento permanente della pensione, sia l’effetto trascinamento, dovuto al fatto che la rivalutazione relativa agli anni successivi sarà applicata a una base più elevata. L’Ufficio ha preso a riferimento pensionati tipo con assegni pari a 3,5, 4,5 e 5,5 volte il minimo e il valore medio della classe oltre 6 volte il minimo (pari a 9,3 volte il minimo).

La stima del governo sull’onere della sentenza della Consulta “sembra affidabile”, ha detto Pisauro: negli anni successivi al primo, “il decreto comporta un onere annuo di circa 500 milioni che significano una riduzione di margini di manovra per nuove politiche”. Questo “fattore esogeno”, in particolare, ha fatto “svanire il tesoretto“. Troppo presto comunque per giudicare la portata dell’impatto sui conti pubblici: “Come al momento del Def dicemmo di fare attenzione,  in questo momento davanti a un fattore esogeno che mi porta a un peggioramento direi che rivalutiamo in sede di assestamento e lì vediamo. Non vorrei fare la Cassandra, ma probabilmente potrebbero sorgere altri elementi esogeni che aggravano ancora di più il quadro. Eviterei quindi di rincorrere mese per mese il peggioramento” di un “decimale di Pil”.

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