Per Alfredo D’Attorre non c’è dubbio: «I ballottaggi confermano la disaffezione di una parte larga del nostro elettorato, sottovalutata da Matteo Renzi nell’analisi autoconsolatoria fatta in direzione all’indomani del 31 maggio». Per l’esponente della minoranza dem (nella foto con Pippo Civati) c’è un «nesso evidente» tra i risultati delle ultime amministrative e le politiche del governo. A cominciare da «temi cruciali» come il lavoro e la scuola. Ma anche «le incertezze che abbiamo trasmesso sul fronte della lotta per la legalità» hanno pesato negativamente. Perché, va dritto al punto il bersaniano D’Attorre, «l’elettorato non capisce quando i nostri dirigenti scatenano un’aggressione nei confronti della presidente della commissione Antimafia, rea di aver applicato un codice sottoscritto da tutti i partiti». Ma dal risultato delle ultime amministrative, emerge anche un ulteriore rischio per il Pd. Annidato nei meccanismi elettorali dell’Italicum. «Al ballottaggio rischia di attivarsi un meccanismo per il quale tutte le forze di opposizione tendono a coagularsi sulla candidatura alternativa a quella del Pd – argomenta l’esponente della minoranza dem –. E’ uno schema che si è prodotto in diverse città e rischia di riprodursi anche a livello nazionale». Senza dimenticare la preoccupante avanzata del primo partito d’Italia: l’astensionismo: «Inconcepibile pensare di consegnare un potere quasi incontrastato al capo di un unico partito, tramite un ballottaggio a cui rischia di partecipare la metà degli elettori».

Onorevole D’Attorre, il verdetto dei ballottaggi non premia il Pd. Che conclusioni ne trae?

«Questi ballottaggi rafforzano, purtroppo, i segnali d’allarme che erano emersi già il 31 maggio. Era già evidente che l’analisi proposta da Renzi in Direzione era autoconsolatoria e sottovalutava il segnale di disaffezione di una parte larga del nostro elettorato, confermato dall’esito del secondo turno in centri rilevanti, governati da amministrazioni uscenti di centrosinistra, come Venezia, Arezzo e Matera».

Quanto hanno pesato le scelte e le politiche dell’esecutivo sul risultato delle amministrative?

«E’ ovvio che si tratta di elezioni amministrative sulle quali pesano elementi e fattori locali, ma un nesso con le politiche del governo c’è ed è evidente. D’altra parte, alcuni dati di questa tornata elettorale sono abbastanza uniformi a livello nazionale. Primo: il crollo dell’affluenza. Secondo: il drastico ridimensionamento dei voti del Pd, non solo rispetto alle Europee ma anche alle amministrative di cinque anni fa. Terzo: in posti dove sarebbe stato impensabile perdere fino a qualche mese fa, o perdiamo o vinciamo a fatica sul filo di lana. E questi elementi di omogeneità nazionale del dato si spiegano con la disaffezione determinata dalle politiche che il Pd ha fatto nel corso dell’ultimo anno, su temi cruciali come il lavoro e la scuola. Ma non solo».

Che altro?

«Credo che anche alcune incertezze che abbiamo trasmesso sul fronte della lotta per la legalità abbiano inciso molto negativamente. Il nostro elettorato non capisce quando i nostri principali dirigenti del partito scatenano un’aggressione nei confronti della presidente della commissione Antimafia, rea di aver applicato un codice sottoscritto da tutti i partiti, solo con l’argomento dell’inopportunità dei tempi nei quali questi nomi sono stati resi noti. E’ evidente che la mancata selezione delle candidature in alcune regioni, a partire dalla Campania, e la polemica con la commissione Antimafia abbiano scavato un solco profondo nella coscienza di tanti nostri elettori».

Un campanello d’allarme anche per le prossime politiche visto che l’Italicum prevede un possibile ballottaggio?

«Lo avevamo già detto in sede di discussione della legge elettorale. Al ballottaggio rischia di attivarsi un meccanismo per il quale tutte le forze di opposizione tendono a coagularsi sulla candidatura alternativa a quella del Pd. E’ uno schema che si è prodotto in diverse città e rischia di riprodursi anche a livello nazionale. Un Pd isolato, privo di alleanze, il cui segretario un giorno sì e uno no scatena irride la sinistra interna ed esterna al partito, appare allo stato poco attrezzato a sostenere questa sfida».

Una battuta d’arresto per il Partito della Nazione vagheggiato da Renzi?

«Direi di sì. Il Pd o ricostruisce un campo largo di centrosinistra o è destinato a perdere le prossime elezioni. Nel momento in cui l’elettorato di destra, spinto anche da temi mobilitanti come quello dell’immigrazione, torna a casa nonostante una proposta di politica nazionale non ancora compiutamente definita, non ci sono alternative. O il Pd torna ad essere motore di un centrosinistra largo e rinnovato, smettendo di individuare in tutto ciò che si muove alla sua sinistra un nemico da abbattere, oppure rischiamo delle elezioni in cui la destra si ricompatta, buona parte della sinistra non si riconosce più nel nostro partito e il Pd si ritroverà in una terra di nessuno che lo porterà alla sconfitta».

Poi c’è il partito sempre crescente dell’astensionismo, uscito ancora più rafforzato da questi ballottaggi. Un altro nemico da cui guardarsi per il Pd?

«Anche in questo caso, purtroppo nessuna sorpresa. Era un rischio facilmente prevedibile. Tra il primo e il secondo turno c’è stato un crollo di circa il 15%. Il professor D’Alimonte, inventore dell’Italicum, quando è stato audito in commissione aveva polemizzato con chi come me aveva sottolineato questo rischio. Quello cioè di un ballottaggio in cui va a votare meno della metà dell’elettorato. Un rischio che aveva definito insussistente. Oggi, di fronte a questo dato, dovrebbe prendere atto della realtà, riconoscere di aver fatto un’analisi astratta e di aver costruito un meccanismo elettorale che è nocivo soprattutto per la qualità della democrazia».

In che senso?

«Immaginare di poter consegnare un potere quasi incontrastato al capo di un unico partito, tramite un ballottaggio a cui rischia di partecipare la metà degli elettori, sul piano democratico è un azzardo inconcepibile. Credo sia arrivato il momento di riflettere seriamente su questo aspetto e mi auguro che una certa arroganza e indisponibilità all’ascolto, che avevano caratterizzato sia Renzi sia i suoi ispiratori nel corso della discussione sull’Italicum, possano essere superate alla luce di risultati che parlano molto chiaro».

Twitter: @Antonio_Pitoni

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