Il 14 giugno 1985, esattamente trent’anni fa, andava in onda l’ultima puntata di Quelli della notte, uno dei tanti gioielli televisivi firmati Renzo Arbore. Ancor prima e ancor di più di Indietro tutta, Quelli della notte ha segnato un’epoca televisiva. Chi c’era sa bene quanto quello stralunato salotto pieno zeppo di strani personaggi abbia influenza il costume dell’Italia di 30 anni fa e abbia segnato anche la tv che sarebbe venuta dopo. Chi non c’era, farebbe bene a recuperare quel capolavoro di comicità improvvisata, di “jam session della parola” (la definizione è dello stesso Arbore) che ha lanciato un sacco di personaggi televisivi che ancora oggi sono sulla cresta dell’onda.

La cosa assurda, però, è che Quelli della notte andò in onda solo ed esclusivamente dal 29 aprile al 14 giugno 1985 (con due giorni di stop dopo la tragedia dello stadio Heysel), per un totale di 33 puntate. Si cominciava alle 23.10, quando la seconda serata televisiva non esisteva ancora e a quell’ora le famiglie italiane dormivano della grossa, e si finiva oltre mezzanotte. Le prime puntate racimolavano poco più di 800mila spettatori, ma dalla seconda settimana in poi il contagio era diventato virale: 3 milioni e 51% di share. C’era Nino Frassica, già allora funambolo della parola, virtuoso della comicità nonsense, uno dei comici più talentuosi della storia italiana, oggi troppo sottovalutato da una tv che non ha più lo stesso coraggio e lo relega in tranquillizzanti fiction per famiglie. C’era Maurizio Ferrini, comunista romagnolo con venature proto-leghiste, ultimo giapponese di un mondo filosovietico che stava per sparire per sempre. C’era Roberto D’Agostino nelle vesti di “lookologo”, che proprio nel corso del programma si era inventato l’efficacissimo “edonismo reaganiano” per spiegare quegli anni rampanti. E poi Massimo Catalano, Riccardo Pazzaglia, Andy Luotto, Silvia Annichiarico, Marisa Laurito, Simona Marchini, Giorgio Bracardi, oltre alla New Pathetic Elastic Orchestra, nutritissima superband con, tra gli altri, Gianni Mazza, Gegè Telesforo, Antonio e Marcello e Stefano Palatresi. La solita allegra brigata che Renzo Arbore mette insieme ogni volta che decide di tornare in tv. Troppo raramente, purtroppo, ma forse è questo il segreto di un successo che lo ha sempre accompagnato sul piccolo schermo.

Il trentennale di quel capolavoro rischiava di passare sotto traccia, ma per fortuna Fabio Fazio ha approfittato dell’anniversario per dedicare l’ultima puntata di Che fuori tempo che fa (la puntata del sabato di Che tempo che fa, con Massimo Gramellini) a una riuscita operazione di archeologia televisiva. In studio, insieme a Fazio e Gramellini (la cui performance televisiva non è stata molto apprezzata sui social network), Renzo Arbore e l’Orchestra italiana e, in rappresentanza del cast di Quelli della Notte, Nino Frassica e Maurizio Ferrini. Tra filmati di trent’anni fa e ricostruzione del clima culturale, sociale e politico del 1985, Fazio ha dimostrato ancora una volta di essere un maestro dell’amarcord. I tempi di Anima mia sono lontani, ma a tratti ieri sera si è tornato a respirare quell’atmosfera. Ieri sera, il conduttore ha più volte sentenziato che “ci vorrebbe un’Anima mia degli anni Ottanta”, e chissà che non si tratti di una anticipazione di ciò che vedremo nella prossima stagione.

Chi è cresciuto in quegli anni non può che incrociare tutto l’incrociabile e sperare che Fabio Fazio torni a fare quello che sa fare meglio: stuzzicare la nostalgia con un recupero archeologicamente meticoloso di atmosfere, mode, personaggi, fenomeni di costume dell’ultimo decennio “felice” dell’Italia contemporanea. Televisivamente sarebbe un successo garantito, visto che negli anni Ottanta andarono in onda i programmi più originali e di culto della tv italiana. A cominciare da Quelli della notte, naturalmente, fino ad arrivare a Indietro tutta (ancora Arbore, e non è un caso), Drive In, Mixer, Pronto, Raffaella?, Maurizio Costanzo Show, Colpo Grosso, Superclassificashow, i Fantastico e i Sanremo di Pippo Baudo la primissima Striscia la Notizia. E potremmo continuare all’infinito, sgranando il Rosario della memoria collettiva e sperando che Fazio ci accontenti.

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