Non passa giorno in cui qualcuno non mi scriva per raccontarmi pezzi di vita che servano da insegnamento ad altre persone. E c’è che raccontare aiuta a mettere a fuoco quel che siamo e che proviamo. Non dico di riproporre più e più volte un balbettio che narra una versione socialmente accettabile di te. E’ proprio la parte che nessuno accetta, quella che diventa oggetto di stigma, che è bello sia raccontata.

Ho riscontrato spesso il fatto che alcune persone non parlano della parte di sé “difettosa” perché il mondo ti vuole perfetto, funzionante, efficiente, produttiva. Non sarà mica un caso se sono stati scritti libri e libri su chi è fuori norma, perché vivere un disagio, esprimerlo, raccontarsi, è già una forma di disobbedienza. La norma impone che tu taccia o che generalizzi nei discorsi, senza mettere in comune alcuna forma di empatia.

attivisti-dirittiE’ l’empatia che, invece, va sollecitata, perché è la base di un buon vivere civile. Se tu non provi empatia per quello che succede a me io non avrò mai modo di rendermi visibile. Molte discussioni pubbliche di questo particolare momento sono caratterizzate proprio dall’assenza di empatia, con qualche parentesi politically correct. Sicché quasi mai una storia arriva dritta, come un pugno allo stomaco, da parte di chi rivendica diritti.

La tua empatia, quella di una persona che è ideologizzata e che si ferma al dito mentre tento di indicarti la luna, che campa di sovrastrutture, mentre tento solo di mostrarti l’umano, non posso certo sollecitarla chiedendoti un’opinione politica su quel che rappresento. Se sono un gay, una lesbica, una trans, una bisex, una migrante, rom, una povera, una puttana, una femminista, una che lotta affinché chiunque, pensando ai propri corpi o meno, possa compiere scelte autodeterminate, aborto incluso, io sono certa del fatto che la sola mia esistenza per te costituisca una sfida politica.

Quando tu guardi me non vedi una persona. Vedi, piuttosto, una lettera da cancellare, un’anomalia di sistema. Ma se anche io volessi parlare con te che sentinelli in piedi o che trascorri ore preganti contro le streghe che abortiscono, se io tentassi di spiegarti che sono umana, e che la tua fobia, in questo secolo, è datata. Se io ti rassicurassi e tu rispondessi che ovviamente non c’è nulla di personale, ma sai com’è. Se ti vedessi lì piantato a recitare mantra per esorcizzare il diavolo che è in me, salvo dichiarare che umanamente mi capisci anche se posso scordarmi della tua concreta solidarietà. Se ti vedessi indifferente, e non trovassi un modo per raccontarti, sinceramente, senza slogan e senza citazioni ortodosse, quel che io sono e che vorrò essere. Se non troverò un modo per dirti che la storia mi ha insegnato che sono io che dovrei avere paura di te.

Parlo di te che preghi per vietarmi un diritto o te che leggi per condannare una mia scelta personale. Te che moralizzi sulla mia vita e che poi dici che sarei io a voler imporre a te qualunque cosa. Se non ti saprò dire che questo scontro produrrà solo morti e feriti, mentre tu non ti accorgi che quel che stai riproponendo è la banalità del male, facendo di necessità virtù, abbiamo perso entrambi.

Io non voglio vincere facendo a gara a chi è più cazzuto o forte. Perché ho diritto alla fragilità e ho imparato che le liberazioni non liberano poi tanto e lasciano intatte le mentalità oppressive. Vorrei che intanto mi spiegassi perché non riesci a vedermi come una persona. Perché hai così paura di me. Vorrei mi raccontassi quel che ti riguarda personalmente, perché di sentirti ripetere gli slogan di Salvini non ho voglia. Vorrei sapere da dove prendi la rabbia, l’odio, l’intolleranza, che può essere espressa in termini fisici o simbolici. Vorrei sapere perché tu, perché io, non possiamo trovare un modo più civile per comunicare.

Non sono cattolica e non perdono, non assolvo, non elargisco tempi di redenzione o espiazione. Il male fatto è fatto. Quel che mi piacerebbe si capisse è che ho un’avversione verso chi sfrutta l’ignoranza della gente, il fanatismo, quello che ti conduce a linciaggi organizzati. Ancora di più temo chi ha voglia di bruciare un campo rom, chi tifa per Putin quando mette in galera un gay, chi vuole cancellare gli stranieri o le puttane dalla vista della gente per bene e “bianca”.

Hannah Arendt diceva che il male è banale. Nessuna sorpresa quando incontri chi vota estrema destra e scopri che è una persona, ha famiglia, sentimenti, emozioni, come tutti. L’errore peggiore che si possa fare quando si tenta di ribaltare la storia è quello di intendere gli avversari come mostri. Perché se consideri che per altri il mostro sei proprio tu non hai fatto altro che riproporre il medesimo copione, soltanto ammantato di più nobili intenti.

Le gogne, gli insulti, l’inciviltà nelle discussioni, sono cose che tutti dovrebbero evitare e in tanti già lo fanno, salvo gente fanatica che pensa di agire in nome di un bene superiore che li autorizza a fare tutto. Allora io mostro, sbagliata, anormale, piena di bellezza nella mia imperfezione, io diversa, ingombrante, mai muta, occuperò ogni spazio, culturale, mentale, che sarà possibile per me attraversare, perché se tu vuoi cancellarmi dalla storia io non potrò fare altro che rendermi visibile ed esserci.

Lo stesso chiedo di fare a chiunque si vergogni di quel che è. Che tu sia una persona socialmente ok o un’anormale, una persona che ha problemi fisici, economici, che soffre di una forte pressione culturale o che si nasconde, debole, in una nicchia buia perché ha paura del mondo, qui fuori siamo in tanti. Sii presente, anche tu. E parla di te. Perché è te che vogliono cancellare. Parla di te, perché prima di ogni cosa c’è l’essere umano, c’è la persona.

E se parlerai di te, a meno che non ti trovi davanti a un nazista che non si lascia commuovere neppure da un bambino, rom, obbligherai chi ascolta, forse, a fare altrettanto. Parla anche di chi ti odia, fallo ridicolizzando, divertendoti, con ironia, perché è una risata che… insomma, hai capito. Perché alimentare paure non va mai bene e reagire alle paure mettendo in scena lo stesso copione che chi ti teme ti ha ricucito addosso significa dargli ragione. Quello che in ogni caso deve essere chiaro è che quell* come noi esistono, non se ne andranno, non rinunceranno, e, nonostante la stanchezza, che tu lo voglia o no, avremo ancora una gran voglia di ridere.

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