Cultura

Sgrauz – Il mostro al Senato. Un racconto satirico di Andrea Tabagista Frau

di F. Q.

Sgrauz era un essere vivente alquanto improbabile. Aveva il corpo ricoperto da una folta peluria castana, su quello che per semplicità chiameremo “volto” erano disseminati dei foruncoli con pus, le due fessure buie che gli consentivano la vista erano molto ravvicinate, il naso e la bocca erano un tutt’uno, una sorta di cratere violaceo maleodorante, come quelli che lasciano i meteoriti quando si schiantano sulla Terra. Sgrauz non mangiava. Sgrauz si nutriva degli odori.

Questo strano tipo d’animale, non si esprimeva chiaramente, ma si faceva capire. Ad esser chiari grugniva, ruttava e, a volte, ma solo quando nessuno lo vedeva, cantava delle sublimi e raffinate melodie in una lingua sconosciuta. Forse un coro d’angeli, invidioso del suo bel canto, l’aveva trasformato in quell’informe abominio della natura.
In paese l’avevano chiamato “Sgrauz” perché il suono che emetteva più frequentemente era qualcosa tipo: “sgrauz”. Le mamme lo usavano come l’uomo nero con i bambini, i bambini lo usavano come capro espiatorio, i grandi lo usavano come bassa manovalanza. Il nostro orripilante amico faceva il buttafuori in una bettola, e puliva quando serviva, tutto gratis, o meglio, in cambio il padrone gli permetteva di avvicinarsi alla friggitrice quando veniva accesa. Quei miasmi di olio bruciato erano l’unica cosa che gli desse una certa soddisfazione, almeno a giudicare dai suoi grugniti che si facevano più concitati, umidicci e ansimanti.

Una sera nella bettola semi-deserta Sgrauz spazzava in terra. In tv un politico stava ribattendo alle domande dei giornalisti sull’ennesima tragedia nel Mediterraneo. Il politico senza tanta convinzione abbozzava qualche bel discorso sull’integrazione e l’accoglienza. Lo sparuto e alticcio uditorio lo ascoltava scuotendo la testa, covando dentro risentimento e rancore verso non si sa chi, la vita, si presume. Mentre il politico diceva: “Abbiamo il dovere di accogliere chi è meno fortun…”, Sgrauz emise il verso più acuto e fragoroso che si fosse mai sentito non solo al paesino, ma probabilmente sull’intero pianeta. Pareva che all’inferno, il diavolo in persona si fosse dato una martellata sul dito mentre crocifiggeva un’altra volta Gesù Cristo!
I pochi presenti, inizialmente terrorizzati, si guardarono, e dopo alcuni istanti esplosero in un boato esultante; l’avrebbero portato in trionfo se Sgrauz non fosse stato così ripugnante.
Tutto ciò che covavano dentro, la bestia l’aveva espulso con dolore liberatorio, deietto da quella specie di corpo, tradotto in quel verso infernale, con vivida chiarezza, come se avesse avuto il dono della telepatia, come se si fosse messo in contatto con i loro intestini crassi. In realtà Sgrauz aveva visto un topo zampettare verso il bagno. Il suo era un urlo di spavento.

Qualche giorno dopo i paesani lo candidarono capolista in una lista civica. Gli oppositori lo schifavano. Alcuni si rivolsero alla magistratura per invalidare la candidatura di quell’essere, disposero perizie psichiatriche, ma senza successo; in confronto a Sgrauz una macchia di Rorschach era una classica bellezza occidentale. Perfino i missionari che erano stati nei lebbrosari lo trovavano repellente. Nei suoi santini elettorali c’era un pulsante, tu lo premevi e partiva il gingle del suo tipico grugnito infernale. Inutile dire che Sgrauz stravinse le elezioni, ma non fece un giorno in Comune. Fu subito candidato al Senato della Repubblica Italiana. Una sera, un oscuro gruppo chiamato semplicemente “Italia”, lo catturò e lo caricò in un furgone. Quando una truccatrice propose un restyiling della sua immagine, un uomo dell’organizzazione la schiaffeggiò: “Deve rimanere esattamente così! Inguardabile, irricevibile, disgustoso, semplicemente non umano!”. Quello sarebbe stato lo slogan della sua campagna elettorale per le politiche: “Semplicemente non umano!”

Quel gruppo non era poi così occulto, senza scomodare i più astuti giornalisti d’inchiesta si scopriva facilmente che il partito di maggioranza lo finanziava tramite delle fondazioni. Il trino Presidente, ovvero il Segretario, ovvero il Tutto, aveva designato l’antagonista per i prossimi dieci anni. Sgrauz non avrebbe mai costituito una reale minaccia e la maggioranza avrebbe avuto gioco facile a rastrellare voti paventando il trionfo del mostro. La gente che lo votò pensava: “Almeno siamo sicuri che non ruberà. Neanche mangia!”

Sgrauz fu messo capolista e approdò al Senato. Il primo giorno si era presentato con un cilindro in testa, un bastone da passeggio e un papillon rosso. Nemmeno così risultava divertente, buffo o al limite pacchiano. Rimaneva ripugnante. Al senato si discuteva un’importante riforma: l’istituzione di mendicanti e barboni cyborg come capri espiatori. Chiunque avrebbe potuto sfogare su di loro la propria frustrazione, insultarli, aggredirli e bruciarli senza incorrere in alcuna sanzione. Questa lungimirante riforma fu interrotta da un tragico evento: l’ennesimo barcone di migranti era affondato: 323 morti, nessun superstite. L’osservanza del rituale minuto di silenzio fu profanato dai versi di Sgrauz. Da casa molti convenirono con i suoi versi. “Sì, Sgrauz! Hai ragione!” dicevano. In realtà l’ignara bestia aveva visto sul tablet di un senatore l’immagine di una cagnetta con due codette legate da nastrini rossi. Sgrauz si era fiondato sul collega salendo sui banchi e aveva letteralmente posseduto il tablet con una frenesia animale. Ogni singolo pixel era stato violato, i cristalli si erano liquefatti dopo il trauma elettronico. La diretta televisiva fu interrotta proprio durante quell’atto sessuale unidirezionale tra la belva e quel freddo oggetto inanimato. I senatori rimasero senza parole. Sgrauz scaraventò l’oggetto a terra, con una zampata, forse imbarazzato emise un altro urlo e scappò verso i bagni. Fioccarono gli editoriali sofisti per giustificare il gesto di Sgrauz. Si scrivevano cose del tipo: “Il gesto neo-luddista di Sgrauz ci richiama al pericolo della tecnocrazia che pervade le nostre vite, annullando le sane e primitive abitudini della provincia…”, oppure: “Sgrauz parla al nostro io più istintuale, non scordiamo da dove veniamo, non vergogniamoci della nostra natura animale…”, titoli come: “Sgrauz è l’ultimo baluardo a nostra difesa!” o quesiti etici: “Quella tra Sgrauz e la foto nel tablet può essere considerata unione civile? Potrebbero adottare? Cosa dice la Conferenza Episcopale?” Insomma, l’ennesima manifestazione animale del senatore Sgrauz passò in cavalleria, sfumata in dibattiti fumosi, il gruppo “Italia” e il Presidente poterono tirare un sospiro di sollievo.

Ma accadde qualcosa di più grave: la mattina dopo, il senatore proprietario del tablet profanato, fu trovato morto nei bagni del Senato. Il cadavere presentava segni di graffi sul volto, e, cosa più terrificante, era stato sventrato, sviscerato. Non c’erano impronte o schizzi di sangue. Il morto era stato svuotato con una perizia certosina, quasi chirurgica. Svuotato come la prima parte della Costituzione Repubblicana. Il lavoro era troppo pulito per un animale. Troppo pulito per Sgrauz. Cosa più strana: le interiora non erano state ritrovate. Subito, la cosiddetta opposizione, i media, e di conseguenza la gente, avevano trovato la soluzione: il colpevole non può che essere Sgrauz. “Le interiora le avrà divorate. Non ci sono spruzzi di sangue perché ha leccato via tutto colto da un raptus feroce. In fondo è un mostro disgustoso, non dimentichiamolo”. I versi e i grugniti non lo salvarono dalla rabbia della folla. Proprio mentre si procedeva all’impiccagione il mostro intonò flebilmente, poi sempre più chiaramente, una delle sue melodie angeliche. Il pubblico che sbraitava contro di lui ora era rapito, ma nel bel mezzo della melodia, Sgrauz vomitò un decomposto che l’anatomopatologo dichiarò essere le viscere del senatore. Con l’aria innocente Sgrauz disse: “Sgrauz!” Il pubblico scoppiò a ridere, cantare, ballare, intonarono il suo nome: “Sgrauz, Sgrauz!” dicevano, in un tripudio di gioia.

Nello stesso istante il Ministro dell’Emergenza apriva la cassaforte nel suo ufficio e ammirava il souvenir di viscere lucenti e perfettamente conservate del senatore barbaramente ucciso.
Il governo e le alte burocrazie avevano scoperto che avrebbero potuto commettere ogni nefandezza nascosti dietro Sgrauz, il peggiore di noi tutti, l’animale al cui confronto ognuno di noi è migliore. L’anno dopo Sgrauz fu eletto direttamente Presidente della Repubblica in cambio, dopo lunga trattativa, potè cibarsi del fumo proveniente dalla friggitrice azionata dal ministro della Salute in persona e cosa più importante: ottenne la cagnolina del defunto senatore.

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