“C’è un garantismo peloso e ipocrita che è nato nella deprecata Prima Repubblica, e cioè non si interviene prima che ci sia una sentenza passata in giudicato il che ha voluto dire, negli anni, mai. Renzi ha assunto lo stesso modello”. La stoccata al presidente del consiglio arriva da Stefano Rodotà, intervenuto all’assemblea di Coesione sociale, l’iniziativa politica lanciata da Maurizio Landini, all’indomani degli arresti di Mafia capitale due, che tocca anche la videnda del Cara di Mineo, per il quale è indagato a Catania il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. “Renzi non deve guardare agli avvisi di garanzia, ma all’articolo 54 della Costituzione dove è scritto che coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche devono adempierle con disciplina e onore – ha sottolineato – Questo è il tema che abbiamo di fronte, il tema della ricostruzione dell’etica civile, dell’etica pubblica compito al quale questo governo si sta sottraendo in modo più sfrontato del passato e lo sostiene con una sicumera che mi inquieta”. Coesione sociale, ha sostenuto il giurista, “tra i suoi compiti dovrà avere anche questo della ricostruzione dell’etica civile”, ha concluso.

In che cosa consiste il garantismo “peloso” in salsa renziana, secondo il professore che fu candidato presidente della Repubblica in seguito alle Quirinarie del Movimento 5 Stelle? “Il presidente del Consiglio -ha chiarito il costituzionalista- si è limitato a dire ‘la magistratura faccia il suo mestiere’. Io, però, sono un garantista e non intervengo. C’è un garantismo peloso e ipocrita nato nella prima Repubblica, che diceva la stessa cosa: ‘Non possiamo intervenire in alcun modo su politici e amministratori, prima che ci sia la sentenza definitiva”. Ma attendere il sigillo della Cassazione, nel nostro Paese “ha voluto dire, mai, perché le sentenze passate in giudicato arrivano dopo un decennio o quando la prescrizione è già intervenuta”.

“Il presidente del Consiglio -ha dichiarato il costituzionalista- si è limitato a dire ‘la magistratura faccia il suo mestierè. Io, però, sono un garantisca e non intervengo. C’è un garantismo peloso e ipocrita nato nella prima Repubblica, che diceva la stessa cosa: ‘non possiamo intervenire in alcun modo su politici e amministratori, prima che ci sia la sentenza definitiva. Il che -negli anni- ha voluto dire, mai, perchè le sentenze passate in giudicato arrivano dopo un decennio o quando la prescrizione è già intervenuta”

Rodotà riapre con toni trancianti l’eterno dibattito italiano sulla sorte che dovrebbe toccare ai politici finiti in guai giudiziari. Tema delicato che ieri Renzi aveva affrontato in modo, appunto, strettamente “garantista”, ricordando persino di avere un padre indagato, ma non per questo impedisce ai figli di far visita al nonno. “Ho cinque sottosegretari indagati. Non chiederò mai le dimissioni per un avviso di garanzia”, ha chiarito Renzi ospite a Genova della kermesse di Repubblica. Non è mancato un accenno polemico ai tempi di Mani pulite, ed ecco forse l’aggancio alla prima Repubblica che ha fatto scattare l’indignazione di Rodotà: “Dobbiamo riconoscere i colpevoli veri, non si può sparare nel mucchio e fare di tutta l’erba un fascio. Anche Tangentopoli, che pure ha fatto grande operazione di pulizia in Italia, mi sembra aver dato l’impressione certe volte di puntare a una grande opera di moralizzazione pubblica più che all’arresto dei colpevoli. Io credo”, ha concluso, “che un cittadino è innocente fino a prova contraria. Non chiederò mai le dimissioni per un avviso di garanzia. Noi siamo dalla parte della giustizia, non del giustizialismo”.

Castiglione, Ncd, luogotenente del ministro dell’Interno Angelino Alfano in Sicilia, è accusato di turbativa d’asta per l’appalto da cento milioni di euro bandito per la gestione del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania), giudicato illegittimo dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, ma riassegnato alla stessa associazione temporanea d’imprese che godeva degli appoggi di Luca Odevaine, l’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni in Campidoglio, l’uomo di Mafia Capitale nel business della gestione dei migranti.

Persino il neogovernatore ligure Giovanni Toti, già consigliere politico di Forza Italia, chiede le dimissioni del sottosegretario Castiglione, ma, chiarisce “per una questione di opportunità, non per l’avviso di garanzia. Io resto garantista, ma se facesse un passo indietro darebbe un bel segnale”. Toti aggiunge anzi che dovrebbero dimettersi tutti: anche “Marino, Zingaretti e Renzi”. Quale sia la “questione di opportunità” al di là del coinvolgimento nelle indagini Toti non lo spiega. Né fa cenno al fatto che il suo partito è rimasto del tutto indifferente alla notizia del pranzo tra Luca Gramazio – capogruppo e mister preferenze azzurro in Regione Lazio – e Massimo Carminati, un pezzo di storia criminale italianai. Per sei mesi il partito di Berlusconi non ha preso alcun provvedimento contro Gramazio, che poi è finito in carcere il 4 giugno, nella seconda puntata di Mafia capitale. Sulla stessa lunghezza d’onda il leader leghista Matteo Salvini, intervistato da Maria Latella su Sky Tg4: il sottosegretario Castiglione si dovrebbe mettere “non per l’avviso di garanzia”, ma perché “non ci può essere un uomo di governo che gestisce il più grande centro immigrati d’Europa, che è un business da 98 milioni di euro”.

Ma il crinale non ben definito tra il registro degli indagati e le “questioni di opportunità” attira anche sul fronte opposto Gianni Cuperlo, uno dei leader dell’opposizione interna a Renzi nel Pd: “Mi auguro – afferma in un’intervista al Quotidiano nazionale – che Castiglione sia estraneo ai fatti, ma come ho apprezzato il gesto e le parole dell’ex ministro Lupi, quando venne in Aula a dimettersi senza aver ricevuto avvisi di garanzia, così penso oggi che per Castiglione ci sia un problema di opportunità politica e di assenza di serenità”.

Non è la prima volta che Renzi fissa i paletti tra azione della magistratura e scelte sugli incarichi pubblici. “Non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese”, aveva detto alla Camera il 16 settembre 2014, a proposito di Claudio Descalzi, neoamminsrtratore delegato di Eni finito nel mirino della Procura di Milano.

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