Viganò-copertinaHo riletto dopo tanti anni (dalle mie parti era praticamente d’obbligo alle scuole medie) L’Agnese va a morire di Renata Viganò e devo dire che, personalmente, lo trovo il romanzo più riuscito e incisivo sulla Resistenza. Sarà l’ambientazione, sarà quel dialetto non scritto ma che si intuisce, quel dialetto un po’ bastardo della Bassa, al confine tra la provincia di Ferrara e quella di Ravenna, un dialetto pieno di umanità. Inutile scrivere una sinossi sulla straordinaria figura della vecchia Agnese, sulla trama semplice, lineare e violenta del romanzo. Preferisco riportare tre stralci, a mio avviso molto incisivi:

Una casa bianca fra l’orto e il frutteto, lontano dalle altre case con intorno soltanto dei campi, non è un obiettivo militare, non conta per la guerra (…) ma passarono gli aerei alleati, sopra, al ritorno dal bombardamento, e avevano qualche bomba rimasta. Forse un aviatore, di buon umore perché rientrava al campo, disse al compagno di volo: – Scommetto che ci prendo in quella casa là, – (agli anglo-americani piacciono le scommesse), – e il collega rispose: – Scommetto di no. -Allora proviamo? – Proviamo, – e fissarono la posta in dollari o sterline, o frazioni di dollari e sterline (…) Un giro, e di nuovo giù in picchiata: una, due, tre bombe, le ultime, dopo non ce n’erano più. Un altro giro sulla nuvola di fumo e di terra (…) E via, in rotta, verso il campo, la mensa, il comodo letto degli ufficiali e sottufficiali aviatori inglesi e americani. Dice il rapporto: tutti gli obiettivi sono stati colpiti.

Aveva in mano dei manifesti lanciati dagli aerei inglesi. Era Alexander che scriveva, il generale Alexander, quello che finora aveva detto ai partigiani: – Fate questo, fate quello, siete bravi siete coraggiosi, verremo presto a liberarvi, ma intanto attaccate i tedeschi, distruggete i loro automezzi, fate saltare i ponti, spezzate i cannoni (…) Fate la guerra in tutti i modi, lasciatevi ammazzare più che potete, noi siamo qui e stiamo a guardarvi. – Le parole suonavano diverse, belle, ben fatte, ma il senso era questo, finora. Stasera invece il generale aveva cambiato umore. Diceva: – Per il momento non si fa più niente, noi ci accomodiamo per l’inverno, abbiamo bisogno che il tempo passi. Abbiamo molto da scaldarci, molto da mangiare, in Italia si sta bene, rimandiamo alla primavera la vostra libertà. (…) Anche questa volta le parole erano diverse, ma volevano dire questo, cioè un altro inverno di tormento.

Lei adesso lo sapeva, lo capiva. I ricchi vogliono essere sempre più ricchi e fare i poveri sempre più poveri, e ignoranti, e umiliati. I ricchi guadagnano nella guerra, e i poveri ci lasciano la pelle (…) I fascisti avevano fatto venire in Italia i tedeschi, avevano scelto per amici i più cattivi del mondo, e loro si buttavano anche contro i tedeschi. Ed era tutta gente come Magòn, come Walter, come Tarzan, come il Comandante. Gente istruita, che capisce e vuole bene a tutti, non chiede niente per sé e lavora per gli altri quando ne potrebbero fare a meno, e va verso la morte mentre potrebbe avere molto denaro e vivere in pace fino alla vecchiaia. (…) Questo era il partito, e valeva la pena di farsi ammazzare.

Racconti-partigianiE da poco è uscito un libro altrettanto bello e incisivo sulla Resistenza italiana. Si tratta de Racconti partigiani, di Giacomo Verri (già finalista al Premio Calvino con il romanzo Partigiano Inverno), pubblicato da Edizioni Biblioteca dell’Immagine. Con un linguaggio al contempo contemporaneo e arcaico che richiama ai valori civili di quel periodo di lotta e speranza, l’autore ricostruisce in modo impeccabile trame semplici di gente comune, protagonista di una stagione memorabile per la storia nazionale. Racconti sanguigni e corporali, capaci di emozionare come le novelle orali che si narravano un tempo (su tutti ho trovato esemplare nella sua essenza Vene sottili e petali di rosa). Storie semplici, struggenti e autentiche di persone che hanno lottato, e a volte hanno pagato a caro prezzo, per assaporare l’agognata libertà. Storie di uomini e donne del popolo, uomini e donne a volte dai nomi più classici, a volte con soprannomi che sono piccoli pezzi di leggenda: Urlo, Dora, Aldo, il piccolo Sebastiano, il Manta, Gino, Strepito, Vincenzo, Claudia, Augusto, don Gianni, Boezio, Mughetto, Dente. Racconti partigiani è uno spaccato narrativo itinerante sull’epopea della Resistenza vista nel suo aspetto più umano. Uscito come omaggio nei giorni precedenti a settantesimo anniversario della Liberazione, il libro accompagna il lettore tra colline, montagne, valli ricoperte di neve, lo conduce verso la speranza che un’intera nazione visse, in modo confuso e frammentario, alla fine di un’epoca di dolore, privazioni e vendette.

E poi? Cosa verrà? Verrà l’oblio delle cose e delle persone, e forse un giorno anche le ragioni di questa guerra e di molte altre che si annichileranno col vento. Così io stesso, diceva ancora, e tante altre persone, e tante altre cose, tutti saremo un’opaca calìa nella lavorazione del mondo. Amen. Quello gli pareva dunque il futuro più radioso che il fato gli stesse riservando. Prima di entrare al caffè, guardò Cino, la gola comunista, pertinacemente palpitante, il collo, la fierezza garrente di una bandiera rossa, la mano viva agitante l’aria col dito ritto, drago della folla fremente, fiero, vittorioso; lo guardò in faccia e sorrise.

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