La Corte dei conti dell’Emilia Romagna ha condannato in primo grado due dipendenti pubblici, una insegnante di Piacenza e un impiegato del Comune di Molinella in provincia di Bologna, a risarcire quanto incassato per un doppio incarico che non sarebbe stato autorizzato dalle amministrazioni in cui lavoravano. Il primo caso, per il quale la sentenza è stata depositata a fine marzo, è quello di Paola Votto. Docente di scuola elementare, dal 2006 al 2012 era stata presidente del consiglio di amministrazione della allora Tempi Agenzia, una società ad azionariato totalmente pubblico (partecipata dal Comune e dalla Provincia di Piacenza) che si occupa di trasporto pubblico locale.

Secondo la Corte, composta dal presidente Luigi Di Murro, dal consigliere Francesco Maria Pagliara e dal relatore Alberto Rigoni, la maestra per svolgere il suo incarico avrebbe dovuto chiedere formale autorizzazione alla Direzione scolastica di Piacenza. Secondo i magistrati contabili “l’incarico svolto da Paola Votto” non era “assolutamente incompatibile con l’impiego d’insegnante presso una scuola pubblica”, ma rientrava “nelle attività consentite al pubblico dipendente e autorizzabili dall’ amministrazione di appartenenza”, come stabilito dal decreto legislativo 165 del 2001. Tuttavia questa norma prevede che chi non ha avuto quella autorizzazione, debba versare quanto incassato per quel secondo lavoro nelle casse della amministrazione di appartenenza (in questo caso gli uffici scolastici).

Votto chiese (e subito ottenne) quella autorizzazione solo nel 2011. I giudici l’hanno condannata al pagamento di 75.915 euro da versare alle casse dell’erario. La maestra (che nel 2012 fu anche candidata, non eletta, con l’attuale sindaco Pd Paolo Dosi) tra il 2007 e il 2012 aveva in realtà incassato per il suo lavoro alla Tempi circa 150mila euro, e la procura contabile guidata dal pm Salvatore Pilato aveva chiesto il pagamento dell’intera somma. Tuttavia per la quota precedente il marzo 2008 c’è la prescrizione e i giudici hanno ritenuto legittimamente incassata la parte percepita dopo l’autorizzazione ricevuta nel 2011. La somma si è così dimezzata.

L’altro caso (la sentenza è di fine maggio) è quello di Danilo Fricano, segretario generale del comune di Molinella. Anche per lui i giudici (presidente Di Murro, consigliere Marco Pieroni e relatore Pagliara) chiamano in causa lo stesso decreto legislativo che aveva portato alla condanna della insegnante di Piacenza. Fricano sarebbe stato nominato dalla società Molinella Futura srl, interamente partecipata dal Comune, senza l’autorizzazione formale del Comune stesso di cui Fricano era dipendente. Per questo motivo, secondo i giudici contabili, l’impiegato deve ora versare alle casse dello stesso Comune di Molinella (sua amministrazione di appartenenza) quanto incassato negli anni in cui era a capo della società: in totale 70mila euro. Gli avvocati di Fricano avevano portato a difesa una dichiarazione dell’allora sindaco di Molinella, Bruno Selva, che spiegava di avere “autorizzato anno per anno il segretario generale Fricano, a svolgere le funzioni di amministratore unico della società, verificandone l’assolvimento dei compiti”. Ma secondo la Corte questa testimonianza, ai fini della decisione, è “irrilevante”. La Corte dei conti parla di “carenza di preventiva autorizzazione”, e in ogni caso, spiegano i magistrati, questa deve essere in “forma scritta” e “deve escludersi la possibilità di provvedimenti orali o impliciti”. Non è escluso che le difese facciano ricorso in appello contro le sentenze.

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