Quando l’inchiesta Mafia Capitale deflagrò sulla Capitale nell’ordine di cattura il gip scriveva che l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno aveva ottenuto fondi per la sua campagna elettorale. Per l’ex sindaco, indagato per 461 bis, c’è una seconda puntata. Perché anche nella nuova ordinanza di custodia cautelare, che oggi ha portato a 44 arresti, si parla di lui come del politico che aveva chiesto aiuto e sostegno per le europee. Gli inquirenti sono certi che per le elezioni al Parlamento di Bruxelles del maggio 2014 l’ex primo cittadino della Capitale, candidato nella lista “Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale” nella circoscrizione Sud, chiese voti a Salvatore Buzzi, il quale si rivolse ai “mafiosi, quelli che controllano i voti” e agli “‘ndranghetisti“.

Buzzi: “Dategli i mafiosi, quelli che controllano i voti”
“Buzzi  – scrivono gli inquirenti – era stato interessato da Giovanni Alemanno affinché si attivasse per sostenere la campagna elettorale di quest’ultimo” alle elezioni europee del 25 maggio 2014. E il capo della 29 giugnoche, secondo gli inquirenti romani, aveva collegamenti con la criminalità organizzata calabrese, si era mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi.

Le indagini hanno consentito di rilevare come “a fronte di una richiesta di sostegno da parte di Alemanno, sin dalla fine del mese di marzo 2014 Buzzi avesse espressamente richiesto, per il tramite di Giovanni Campennì, appoggio all’organizzazione criminale calabrese (di cui quest’ultimo è ritenuto espressione), per procurare i necessari consensi in occasione della campagna elettorale dell’ex sindaco di Roma”. In una conversazione intercettata il 21 marzo 2014, Buzzi riferiva a Massimo Carminati l’esito di un incontro avuto poco prima con Alemanno negli uffici della “Commissione Commercio” a Roma. “Buzzi – scrive il gip – riferiva del sostegno richiesto in quell’occasione dall’ex primo cittadino (“no, no era pè la campagna elettorale … una sottoscrizione e poi se candida al sud“) e spiegava al capo del sodalizio che aveva individuato Campennì (insieme a Rocco Rotolo e Vito Marchetto tra gli amministratori della “cooperativa Santo Stefano” indivicata dallo stesso Buzzi come “cooperativa de ‘ndranghetisti”) “quale strumento idoneo per assecondare tale richiesta”. Buzzi, il giorno seguente contattava “Campennì, al fine di interessarlo per “da ‘na mano a Alemanno … in campagna elettorale …”.

Buzzi assicurava ad Alemanno il proprio intervento in suo favore – si legge nella ricostruzione degli inquirenti – promettendo l’inoltro a un membro del suo staff, Claudio Milardi, di una lista di persone allusivamente chiamate “amici del sud” capaci di esprimere cospicui pacchetti di voti (“che ti possono dare una mano co’ … parecchi voti”). A causa di un errore compiuto da Carlo Guarany, braccio destro di Buzzi, a pochi giorni dalla data delle elezioni – scrive ancora il gip – “veniva consegnata a Milardi una lista di persone difforme da quanto disposto dal capo della coop 29 giugno, che provocava una violenta reazione da parte di quest’ultimo, il quale vedeva evidentemente vanificare quanto programmato: “I nomi degli ‘ndranghetisti erano …inc.. ma come se fà a sbaglià così ..” “erano i nomi delle persone fedeli, ma che cazzo dai i nomi de tutti”. E ancora: “I mafiosi…dategli i mafiosi che quelli controllano i voti, te lo votano, no?”. Il 23 maggio, a due giorni dal voto, Campennì veniva contattato dalla segreteria di Alemanno per ricevere il materiale elettorale.

“Uno po’ votà gli amici???!!!”
Secondo gli inquirenti il tentativo “di Buzzi di mascherare, in maniera evidentemente strumentale con l’interlocutore (“sto numero è intercettato … però so telefonate legali ..”), l’illecita richiesta pervenutagli, facendola passare come innocua e legittima istanza volta ad ampliare il consenso elettorale (“basta che non sia voto di scambio …. tutto è legale … uno pò votà gli amici???!!!”), nell’ambito di una circoscrizione elettorale particolarmente ampia (“mica può venire li!!! Scusa … no perché la circoscrizione è grandissima …. è Abruzzo …. Campania …. la Calabria …. Puglia …. Basilicata ….. come cazzo fa? … èèè ….”), veniva perfettamente compreso da Campennì, il quale, avendo evidentemente ben inteso il vero senso della richiesta (“ah ste chiamate so legali??? …”), aderiva prontamente alla richiesta, non potendo evitare, tuttavia, di sottolineare la propria capacità di poter attingere a un ampio bacino di consensi pilotabili, facendo ricorso a una metafora particolarmente espressiva (“va bene …. allora …. è qua la famiglia è grande … un voto gli si dà”). Voti che se ci furono non portarono l’ex sindaco a sedere nel Parlamento europeo perché Fratelli d’Italia non superò la soglia di sbarramento, anche se Alemanno incassò 44.853 preferenze.

Alemanno: “Mai chiesto voti”
“Bisogna finirla con questa balla della ‘ndrahgheta che, attraverso la mediazione di Buzzi, mi avrebbe fatto convergere voti in Calabria alle elezioni europee del 2014”,  fa sapere con una nota Alemanno. “I numeri parlano chiaro: nei due comuni di riferimento del clan Mancuso, che sarebbe stato contattato da Buzzi, io ho preso un numero ridicolo di preferenze – dice -. A Limbadi ho preso solo 5 preferenze su 981 votanti e al comune di Nicotera 14 preferenze su 1901 votanti. Questi sono i due comuni dove, secondo le risultanze delle inchieste della magistratura, c’è il maggior radicamento del clan Mancuso e non è pensabile che se questo clan si fosse mobilitato a muovere voti nei miei confronti i risultati sarebbero stati questi. Credo che tutta questa congettura derivi dall’ennesima millanteria telefonica di Salvatore Buzzi, ma in ogni caso io non ho mai ottenuto né tantomeno richiesto aiuti elettorali da clan mafiosi”.

Il filo rosso tra Alemanno e la Calabria
Non è la prima volta che emerge un filo rosso tra Alemanno e la Calabria. Nel 2011, il nome dell’allora sindaco di Roma ed ex ministro delle Politiche Agricole, emerse in una inchiesta della Dda di Milano. Dalle carte dell’indagine, in cui Alemanno non fu indagato, emerse di una serata organizzata al Cafe de Paris a Roma nella primavera del 2008, durante la quale gli venne presentato il presunto boss Giulio Lampada (recentemente scarcerato per motivi di salute). Un incontro elettorale come tanti che poteva essere un ”bacino” di voti aveva spiegato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini. Agli atti c’era una telefonata nella quale Lampada, arrestato con altre otto persone (tra cui il fratello Francesco, il giudice Vincenzo Giglio, il consigliere della Calabria Francesco Morelli e l’ex gip d Palmi Giancarlo Giusti morto suicida), aveva raccontato che quella sera ”il ministro con il microfono in mano” aveva ringraziato ”il gruppo Lampada, noto industriale calabrese a Milano”. Il gip Giuseppe Gennari di Milano, però nell’ordinanza di custodia cautelare, aveva sottolineato di come Alemanno ”non avesse idea alcuna di chi fossero in realtà i Lampada”.

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