Le più grandi banche italiane tentano di mettersi al riparo dai derivati. Riducono la loro esposizione e, a differenza di quanto fa il Tesoro, si costruiscono un portafoglio con un basso margine di perdite potenziali. E’ questo il quadro disegnato da Bankitalia che ha diffuso i dati sui “prodotti derivati over the counter a fine dicembre 2014” sulla base di un’indagine voluta dal Committee on the Global Financial System, il comitato ristretto della Banca dei Regolamenti europei, che vigila sulla stabilità del sistema finanziario internazionale.

“Il campione italiano – composto da Mediobanca, Unicredit, Intesa, Mps, Banco Popolare e Ubi, cui fa capo oltre il 90% delle operazioni in derivati finanziari e creditizi – fa registrate un valore lordo di mercato negativo superiore a quello positivo (rispettivamente pari a 190,2 e 189,6 miliardi)”, sottolinea l’autorità di vigilanza presieduta da Ignazio Visco. In pratica, sulle sei più grandi banche italiane grava il rischio di una perdita potenziale da un miliardo, una cifra tutto sommato contenuta soprattutto se paragonata ai 42 miliardi che, invece, pesano sul Tesoro. “Questo dato indica che, come si dice in gergo, le banche si sono hedgiate – spiega Nicola Benini, esperto in derivati e partner della IFA consulting, – Detta in altri termini, hanno aperto delle posizioni, ma si sono anche ricoperti per le potenziali perdite”. E, in ogni modo, stanno anche provvedendo a ridurre il peso dei derivati nei loro bilanci.

Come rileva Bankitalia, nel secondo semestre del 2014, il valore dei titoli sottostanti ai derivati in dollari (il cosiddetto valore nozionale) in pancia alle banche italiane ha infatti registrato “una nuova riduzione, pari al 15,5 per cento”. La flessione è superiore a quella messa a segno dal complesso dei Paesi che partecipano all’indagine (8,8%). Inoltre “il valore nozionale dei contratti in essere presso le banche italiane rappresenta una quota assai modesta (l’1,1%) dell’intero campione dei paesi che partecipano all’indagine”. Insomma, secondo Bankitalia, il sistema finanziario italiano è fra quelli messi meglio all’interno di un panel di Paesi di tutto rispetto che vanno dall’Australia al Belgio, al Canada, alla Francia, alla Spagna, al Giappone, ai Paesi bassi, al Regno Unito arrivando fino a Germania, Stati Uniti, Svezia e Svizzera.

Infine, “le informazioni relative alle controparti mostrano che i contratti derivati OTC continuano a essere posti in essere prevalentemente con istituzioni finanziarie” che rappresentano il 91% del totale dei derivati in seno alle banche italiane. Appena il 9% sono quelli contratti con istituzioni non finanziarie come enti locali e imprese. Una piccola quota che però non ha mancato di fare molto rumore quando ha provocato il collasso di piccole e medie imprese italiane che hanno sottoscritto derivati agli inizi del Duemila.

@fiorinacapozzi

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