Per la Grecia inizia una settimana cruciale. Il 5 giugno scade la prima di quattro rate di rimborso del debito che il Paese deve versare al Fondo monetario internazionale nel corso del mese, per 1,6 miliardi di euro complessivi. Per lunedì sera è in programma a Berlino un incontro tra il presidente della Bce Mario Draghi, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande per discutere un piano per risolvere l’impasse. Dovrebbe essere presente anche la numero uno del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. Nel corso della giornata, nonostante le accuse lanciate domenica dal primo ministro Alexis Tsipras contro “l’ossessione di certi rappresentanti istituzionali” per “soluzioni irragionevoli, dalla Commissione Ue sono arrivati segnali di speranza sulla possibilità di arrivare a un accordo tra Atene e i creditori entro il 5. Una portavoce ha spiegato che il Brussels group, in cui sono riuniti Commissione, Fondo e Bce, non impone alcun ultimatum alla Grecia. “Non fissiamo alcuna scadenza” ai negoziati, ha detto Mina Andreeva, portavoce del presidente Jean Claude Juncker. “L’unica scadenza è la fine di giugno”, quando termina la proroga di quattro mesi del programma di sostegno finanziario ad Atene. “Progressi sono stati fatti”, ha precisato poi, “ma ancora non ci siamo”.

Sempre lunedì il ministro dell’Economia italiano Pier Carlo Padoan, durante il Festival dell’Economia di Trento, ha ripetuto – l’aveva già detto in un’intervista – che la Grexit “è sicuramente possibile” ma non “auspicabile”, perché “nessuno può dire oggi come si potrebbe gestire” e “l’euro si mostrerebbe come un animale diverso da come l’avevamo pensato, cioè reversibile, da cui si può uscire”.

Secondo fonti europee citate dall’agenzia Efe i nodi che restano da sciogliere nella trattativa sono quelli della riforma del mercato del lavoro e delle pensioni. L’edizione online del quotidiano ellenico To Vima, riprendendo l’agenzia Bloomberg, ha scritto che i creditori internazionali sono pronti a presentare al governo Tsipras, nei prossimi giorni, una proposta di accordo che dovrebbe comprendere misure per 3,5 miliardi di euro. La portavoce non ha però voluto confermare le indiscrezioni in base alle quali Ue, Bce e Fondo monetario intendono chiudere la trattativa tecnica entro l’11 giugno, quando si riuniranno gli sherpa dei ministri dell’Economia dell’Eurozona in vista della riunione ufficiale dell’Eurogruppo prevista per il 18 giugno.

Morgan Stanley, però, avverte che il vero problema è un altro. Finora, scrive la banca d’affari in un report intitolato “Per la Grecia il tempo sta scadendo?“, il focus “è rimasto solo sulla concessione della terza tranche di aiuti” da 7,2 miliardi di euro. Invece, per la Grecia serve un terzo salvataggio che “deve ancora iniziare ad essere negoziato“. Il riferimento è al nuovo programma di assistenza finanziaria, che secondo quanto dichiarato tre mesi fa dal ministro delle Finanze spagnolo Luis de Guindos potrebbe valere fino a 50 miliardi. E a questo punto appare indispensabile visto che il Paese è ripiombato in recessione e gli anni di austerity ne hanno affossato la capacità produttiva.

Secondo la banca Usa, le previsioni di crescita di Atene per quest’anno sono “uno dei temi su cui si è parlato di meno”, ma, si legge nel report, “pensiamo che siano troppo ottimistiche e, di conseguenza, ciò può significare che le proiezioni sui conti pubblici sono eccessivamente compiacenti”. A differenza del governo greco e della Commissione europea, che si aspettano una crescita seppur debole dell’economia quest’anno, Morgan Stanley prevede che prosegua la recessione, con la conseguenza di “un più ampio buco di bilancio che richiede un salvataggio più grande”. In questo panorama un’intesa per finanziare la Grecia nel medio periodo “rimane sfuggente“. Per la banca, Atene ha attualmente il 40% di probabilità di restare nell’euro, il 25% di uscirne e il 35% di introdurre un controllo dei capitali analogo a quello deciso a Cipro nel 2013, che a sua volta potrebbe sfociare in una Grexit (60%) o in una eliminazione delle misure (40%).

Il pessimismo è condiviso dal capo economista per l’Europa di Goldman Sachs, Huw Pill, secondo il quale per superare l’attuale fase di stallo servono un passo indietro del governo Tsipras (vale a dire nuove elezioni) o un referendum sulla permanenza nell’euro. Una strada, insomma, che permetta di ammorbidire la piattaforma elettorale con cui Syriza ha vinto le elezioni, in modo da arrivare a un compromesso con i creditori. In alternativa le parti potrebbero scegliere di non arrivare a una soluzione definitiva. Il che, secondo Pill, porterebbe inevitabilmente al default tecnico della Grecia, anche se non necessariamente all’uscita immediata dall’Eurozona perché “il default di uno stato sovrano è un processo politico, con regole e procedure che allungano i tempi e conferiscono un ampio grado di discrezionalità e flessibilità”.

Gli Stati Uniti, che nei giorni scorsi per voce del segretario al Tesoro americano Jack Lew hanno chiesto ad Atene e ai creditori di trovare un accordo prima che la situazione sfugga di mano, stanno già facendo i conti sugli effetti di un eventuale default greco. “Su una scala da 1 a 10, dove il collasso di Lehman è 10, un default della Grecia sarebbe 6, meno dell’8 del 2012”, riporta il Wall Street Journal, citando alcune fonti dell’amministrazione americana. “Fonti europee” citate dal quotidiano riferiscono però che “i governi dell’area euro non apprezzano un’interferenza americana in affari non loro. Se gli Stati Uniti vogliono che la Grecia sia anche un loro affare, allora mettano soldi sul tavolo”.

 

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