“Il codice etico di autoregolamentazione non ha valore sanzionatorio ma è un invito morale ai politici”, dichiarava Rosy Bindi nel settembre 2014, quando presentava il disegno di legge sul Codice etico nella speranza di vederlo in breve diventare legge. Probabilmente, se l’apparenza non li avesse costretti a trattenersi, molti politici le avrebbero risposto già allora “Senti Rosy, gli inviti morali fatteli a casa tua, che qui la festa è già al completo”. Ahimè però non fu loro possibile, perché la forma, si sa, in politica è sostanza; e così il plauso di facciata fu unanime.

L’articolo 1 del suddetto codice recita così: “I partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche che aderiscono alle previsioni del presente codice si impegnano, fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, a non presentare e nemmeno a sostenere, sia indirettamente sia attraverso il collegamento ad altre liste, come candidati alle elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali coloro nei cui confronti, alla data di pubblicazione della convocazione dei comizi elettorali, sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o la citazione diretta a giudizio, ovvero che siano stati condannati con sentenza anche non definitiva di primo grado”.

A sentirlo così suona come un trionfale deterrente a qualunque infingardo tenti di far fessi gli elettori avvalendosi del subdolo avallo delle istituzioni per entrare in politica e fregare la magistratura, ma in realtà ci sono almeno un paio di elementi che aiutano a capire le reali possibilità di azione preventiva di cui la commissione Antimafia, ovvero l’istituzione preposta a verificare che si tenga fede al suddetto codice, dispone. Innanzitutto il Codice non ha valore giuridico di alcun tipo ma rientra in quella zona grigia che sono le parole date, gli accordi tra gentiluomini, le promesse a cui l’onore e l’amor proprio inducono a tener fede: quelle intese che fondano la loro stessa esistenza sulla coscienza dell’uomo.

Considerando che già la coscienza dell’uomo è labile, non si esagera nel definire la coscienza dell’uomo politico una spuria accozzaglia di temporanee convenienze. E’ vero che qualora la ricerca di consenso richieda di mostrarsi di morale specchiata il politico è pronto ad orientarsi in tale direzione (vedi alla voce Renzi prima versione), ma quando la caccia al voto richiede di non andare tanto per il sottile il sopracitato politico è pronto a riprendere quella stessa morale specchiata e mettersela in tasca (Renzi seconda versione).

Ma l’elemento fondamentale che ha sempre permesso la pacifica convivenza tra commissione Antimafia e politica contaminata è stato lo straordinario escamotage della valutazione postuma: ovvero il giudizio sull’impresentabilità del candidato viene fornito a candidato eletto (o non eletto). Insomma, come dire che per non contaminarsi uno si mette il preservativo a rapporto sessuale avvenuto. Un errore? Una follia? No, affatto: un ottimo sistema per salvare la forma senza mutare la sostanza.

Ed ecco che se la commissione Antimafia spariglia il gioco e si esprime prima delle elezioni tutto salta per aria. Infatti in molti si sono arrabbiati per la tempistica con cui la Bindi si è pronunciata sugli impresentabili alle regionali: il problema però non è, come dicono loro, che si è pronunciata troppo tardi impedendo ai candidati il diritto di replica, ma che si è pronunciata troppo presto rovinando al Pd il colpo gobbo in Campania.

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