Per capire cosa succede dopo che le tanto invocate ruspe entrano in azione basta farsi un giro a Ponte Mammolo a Roma dove i mezzi meccanici preferiti da Matteo Salvini hanno raso al suolo una baraccopoli abitata al 90 per cento da immigrati con lo status di rifugiato politico. Al posto delle casupole di fortuna (molte delle quali con luce, acqua e gas) ora c’è una tendopoli con le stesse persone di prima, ma molto più disperate. Ogni loro effetto personale è stato seppellito dalle macerie. “Sono arrivati i carabinieri, ci hanno detto avete due minuti per uscire così abbiamo perso tutte le nostre cose”, racconta un ragazzo bengalese. “Si torna sempre qui compresi quelli accolti temporaneamente nei centri d’accoglienza, perché dopo un mese vengono cacciati”, spiega un giovane ucraino. “Avevamo costruito la baraccopoli, ci vivevamo bene, non c’è soluzione abitativa per noi”, attacca Nkosi, un rifugiato politico eritreo dal 2010 in Italia. “Le ruspe non sono la soluzione, c’è una legge internazionale sui profughi che anche Salvini dovrebbe conoscere”, dice Gabriele, eritreo anche lui, ma residente da 20 anni in Italia. Il comune per bocca dell’assessore alle politiche sociali Francesca Danese aveva promesso un intervento tempestivo dopo lo sgombero, ma ottanta persone sono ancora lì, così come le macerie  di Irene Buscemi

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