Spiato, licenziato e poi reintegrato. Si è chiusa così, per mano del giudice Riccardo Attanasio del Tribunale del lavoro di Milano la vicenda del dipendente Unipol ex FonSai che lo scorso anno era stato messo alla porta con una contestazione disciplinare nella quale compariva l’elenco di giornate in cui il dipendente, “non ha reso alcuna prestazione lavorativa nell’interesse della nostra società”. Quest’ultima basava l’affermazione sui resoconti di un’agenzia investigativa che aveva pedinato il lavoratore per mesi 17 ore su 24. Un “eccesso delle modalità del controllo rispetto allo scopo”, commenta il giudice nella sentenza pubblicata il 23 aprile scorso che ha disposto il reintegro del dipendente, il versamento delle retribuzioni da lui perse e il rimborso delle spese legali. “Ci si deve cioè interrogare se, tenuto conto dell’inviolabile diritto alla privacy, sia ammissibile un controllo sulla persona che avviene dalle 6,00 del mattino alle 23,00 (come in questo caso) – continua il magistrato – con una registrazione capillare di tutte le sue attività a fronte di un obiettivo che talvolta è di verifica se il lavoratore abbia o meno espletato totalmente o parzialmente la sua attività lavorativa; ma che nel caso di specie non era nemmeno bene individuato”.

Quindi non solo Unipol si è servita di mezzi illeciti in violazione dello Statuto dei lavoratori, ma non ha neanche dalla sua una giustificazione ritenuta valida dal Tribunale. “Il problema è proprio quello dell’eccesso del mezzo rispetto allo scopo. La società non è stata in grado di dedurre per quali ragioni quell’ossessivo controllo fosse stato inizialmente effettuato – scrive infatti il magistrato – Avrebbe potuto certamente fare le verifiche dell’attività svolta (o di quella non svolta) posto che il ricorrente svolgeva ispezioni delle quali rimane certamente traccia. Il controllo è stato effettuato con modalità assolutamente eccessive essendo indagato qualsiasi atto del ricorrente”.

Del resto, è la conclusione, “è solo sufficiente esaminare il risultato di tale controllo per rendersi conto di quanto fin qui detto: la società si è limitata a contestare mancata richiesta di ferie (peraltro in parte richieste) o alcune ore trascorse all’esterno senza prestare attività lavorativa in periodi nei quali l’attività specifica del ricorrente sostanzialmente non veniva svolta (tutta a ridosso del periodo natalizio)”. Valutazioni “certamente sufficienti a giustificare la inutilizzabilità di tutto il materiale probatorio (più chiaramente il risultato del pedinamento effettuato dall’Agenzia investigativa) prodotto dalla società UNIPOLSAI; e quindi a giustificare l’accoglimento dell’opposizione”. In ogni caso sempre secondo il giudice, “occorre rimarcare che anche l’esame in fatto dell’attività istruttoria compiuta dal giudice dà conto della caducità delle contestazioni effettuate”. I fatti emersi, in pratica, “sono altra cosa rispetto a quelli contestati e appaiono certamente di assai scarsa gravità rispetto a quanto ritenuto dalla società e come tali insuscettibili di giustificare un licenziamento“. Non solo. “Il Giudice ritiene che vi sia una palese sproporzione tra il mezzo usato dalla società (alcuni mesi di pedinamento) e lo scopo che peraltro non era nemmeno preventivo rispetto ai fatti da accertare non essendosi dato conto di quali violazioni il Gulino si fosse reso colpevole che giustificassero il pedinamento. Ma la sproporzione c’è addirittura rispetto ai fatti accertati posto che a fronte dell’esasperante pedinamento è stato accertato che il Gulino non era stato per una parte della giornata in ufficio in giorni nei quali pacificamente non doveva svolgere attività istituzionali, comunque  strettamente connesse alla propria attività lavorativa”.

Quello che il giudice non dice è che l’ossessivo e ingiustificato controllo del dipendente era iniziato poco dopo che la familiarità di Gulino con la famiglia Ligresti, i precedenti proprietari di Fondiaria Sai, era diventata nota ai più con la pubblicazione, nell’autunno 2013, delle intercettazioni telefoniche raccolte dalla Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione di FonSai da parte della famiglia siciliana. A tal proposito in quei giorni l’ad di Unipol Carlo Cimbri, a sua volta indagato per aggiotaggio, ai soci riuniti in assemblea per approvare la fusione tra Unipol e Fondiaria sottolineava come i documenti del procedimento aperto a Torino contro i Ligresti per falso in bilancio e aggiotaggio daranno “uno spaccato interessante del mondo che circolava attorno alla famiglia Ligresti, agli amministratori, chi parlava con chi, con quali interessi in gioco, tante cose che faranno luce sugli interessi oscuri, opachi o anche imprevedibili della vicenda”.

Tra interlocutori c’era anche Gulino, al quale Giulia Ligresti aveva confidato al telefono la sua idea secondo la quale attorno alla fusione Unipol-FonSai si era creato un fronte unito (“Hanno la stampa tutta con loro… – dice Giulia nelle intercettazioni -. Hanno le authority tutte con loro, cioè sono al loro servizio, anzi gli dicono come devono fare le cose. Hanno le associazioni consumatori, Fondiaria, tutto questo mondo finanziario tutto con loro… gli advisor…”). A sua volta l’interlocutore faceva notare alla Ligresti come un’ultima chance fosse costituita proprio dalla Procura della Repubblica. E, sarà anche una coincidenza, poco dopo era partito l’ossessivo pedinamento di Gulino. Il quale, al contrario dei suoi superiori con cariche dirigenziali anch’essi intercettati e messi alla porta, non poteva essere licenziato da un giorno con l’altro. Difficile in ogni caso saperne di più dalla compagnia che all’epoca del licenziamento, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it non aveva voluto entrare nei dettagli “per rispetto della privacy del dipendente”.

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