Il signor Bruno Wu, un pezzo grossissimo dei media cinesi che, come è facile immaginare, non sono la quint’essenza del Quarto Potere inteso all’occidentale ( ma si stanno sviluppando alla grande, dai cinema alle tv), appena qualche tempo fa ha detto (riducendone il pensiero all’essenziale) che “Hollywood interpreta il mondo e non semplicemente la visione americana del mondo”. Insomma, Hollywood è tutti noi, anche se è fatta da mani e cervelli americani, perché attraverso i suoi prodotti ci rispecchiamo tutti, anche quelli che hanno gli occhi a mandorla e vivono in un sistema “comunista”. E in questa “universalità” dei racconti sta la ragione del successo di quel pezzo dello show business globale.

La stessa battuta, sostituendo a Hollywood la europea Londra, la potremmo fare per i format che stanno invadendo il mondo a partire dal sistema (accortamente regolato al fine di proiettarsi sui mercati globali) del broadcasting e della produzione indipendente d’Inghilterra. Got Talent, The Voice, XFactor, MasterChef etc etc ricompaiono adattati alle varie lingue praticamente in tutto il mondo e, per dirne una, pare, tornando in Cina, che lì raccolgano audience di 400 (quattrocento) milioni di persone di ogni età e mestiere. Fatte le proporzioni rispetto alla popolazione complessiva, come da noi Sanremo.

Cosa si muove dietro questi continui Hunger Games che selezionano i famosi del momento e per un momento? Un’idea in piccolo ce la siamo fatta ieri sera quando, finiti nella pizzeria sotto casa per sbrigare una sollecita cena, lo abbiamo trovato trasformato rispetto al mood intimo che ce lo fa frequentemente scegliere: un grande schermo in posizione strategica e i tavoli predisposti in modo che tutti potessero tenerlo d’occhio. Essendo snob quanto basta e volendo sfuggire all’incombente, quale ne fosse l’occasione, clima festaiolo ci siamo affrettati a liquidare la pizza per precipitarci alla cassa. E giusto allora, mentre digitavamo il PIN sul POS entravano 40 (quaranta) ragazze tutte originarie di Acri, paese in provincia di Cosenza, che si erano prenotate quei tavoli con le sedie a favore di tv proprio nel locale gestito, tocco aggiuntivo, da un concittadino (immagini del Paese occhieggiano da ogni angolazione) per seguire la finale di The Voice. Perché? Perché c’era in gara un giovanotto anch’esso di Acri che, abbiamo appreso stamane al risveglio, era proprio il Fabio Curto poi risultato vincitore.

E lì ci siamo morsi le mani per non aver, ieri sera, mangiato più lentamente, perdendo l’occasione di goderci lo spettacolo del tifo in carne e ossa che metteva insieme la solidarietà generazionale con quella territoriale. Per le cronache dell’auditel, mentre noi, ieri sera, correvamo a casa per sfuggire alle folle e rifugiarci nel solito zapping alla ricerca o di una serie, o di un dibattito o di un film) 2,6 milioni di spettatori, oltre alle 40 fanciulle in pizzeria) hanno fatto notte con The Voice. Cinesi in Italia loro? O stranieri in patria noi? Come che sia, si dovrà trovare il modo di parlarci. Anche in pizzeria.

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