Charlie-675-2Siamo tutti Louis. Siamo tutti La Mouette, la gabbianella. Sarebbe bello che i giornali scolastici italiani lo scrivessero. Che difendessero Louis, il giovane collega francese minacciato di morte, costretto a vivere nell’incubo per aver manifestato solidarietà a Charlie Hebdo.

A volte non lo scegli, ti capita di diventare un simbolo. Un bersaglio. Di vedere la tua vita tranquilla di liceale trasformata in una sofferenza senza uscita. Succede in questo mondo che ha sempre più bisogno di eroi. Non più soltanto i reporter di guerra, ma perfino i giovani direttori di un giornalino scolastico di Parigi.

“Louis si è visto cadere il mondo sulle spalle. È terribilmente angosciato”, racconta al Fatto del Lunedì Stéphane, professore del liceo Marcelin-Berthelot. Una scuola modello, non nella banlieue infuocata dai conflitti sociali, ma in un quartiere borghese. “A fine gennaio abbiamo pubblicato un numero de La Mouette bâillonée (la gabbianella imbavagliata, ndr) che esprimeva solidarietà a Charlie Hebdo”, racconta Louis, il giovane direttore. Cerca di mantenere la voce ferma, di non tradire l’inquietudine. Lui, un ragazzo pacato, pieno di ideali. Come tanti suoi coetanei in Francia e in Italia. “Prima è arrivata una lettera di minacce per tutta la redazione, c’era una svastica”, racconta Stéphane. Ma era solo l’inizio: “Poi sono giunte altre minacce, direttamente all’indirizzo di casa. Prendevano di mira Louis, i suoi genitori”. Non solo parole: “Erano messaggi brevi, due righe. Dicevano che mi volevano uccidere. Poi nelle buste ho trovato proiettili. Sette avvertimenti. Finora”, ricorda il liceale.

È dura per Louis resistere. Da direttore di un giornale di classe si è ritrovato sprofondato in un conflitto tanto più grande di lui. L’odio, la violenza che stanno sconvolgendo il mondo sono arrivati alla porta di casa sua.

Louis ha chiesto aiuto alla scuola, ha presentato denuncia alla polizia che per un paio di giorni gli ha dato una scorta. Ma l’incubo non è finito. E la storia è arrivata su quotidiani e tv di tutta la Francia. Così il giovane direttore ha capito di non essere solo, ma forse si è ritrovato ancora più esposto. Un simbolo, appunto.

Chissà se a inviare i proiettili sono stati estremisti islamici o della destra francese. Non è questo l’essenziale. Il punto è che oggi si combattono le opinioni con la violenza. Il punto è la libertà. Questa era la sfida – irriverente, magari eccessiva – di Charlie. Non contro l’Islam, ma per il diritto di esprimersi. E dopo Charlie, se cediamo, toccherà a giovani come Louis.

Ma non è solo la polizia che può difendere questo ragazzo. Deve essere la società che non dispone di proiettili, ma di parole e solidarietà. Per le vittime non c’è solo il rischio della morte, ma prima ancora, della solitudine.

Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 25 maggio 2015

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