Nessuna autocritica, nessun cambiamento. Bisogna solo essere “più vicini agli spagnoli”. Le parole del premier Mariano Rajoy, davanti a un gruppetto di politici e giornalisti radunati nella sede del Partito popolare, girano attorno ad un unico concetto: il partito comunica male. Alcuni affiliati storcono il naso, come a dire che forse la perdita di 500 maggioranze assolute e 30 grandi città non è solo una questione di comunicazione. Eppure il premier iberico non sembra intenzionato a cambiare né la struttura né la composizione del governo. Tanto meno a radunare il direttivo in un convegno prima delle elezioni politiche d’autunno.

Il voto amministrativo di domenica però ha già cambiato qualcosa. Le nuove formazioni politiche di Podemos e Ciudadanos entrano nei municipi e nelle comunità autonome con percentuali significative. Perfino il Partito socialsita, che forse non si aspettava tanto, esce a testa alta distanziando il partito al governo di soli due punti percentuali. Gli analisti guardano già oltre. In un quadro fatto di necessarie alleanze affinché la politica iberica si rimetta in moto, arrivano le prime proiezioni per quello che potrebbe essere il risultato delle prossime elezioni generali. Utilizzando i dati delle regionali, compresi quelli dell’Andalusia che ha votato lo scorso marzo, insieme alle municipali di Catalogna, Galizia e Paesi Baschi, il centrodestra perderebbe 66 seggi e avrebbe vita dura, anzi durissima, per formare un governo di maggioranza. Ma nemmeno i socialisti avrebbero l’appoggio necessario per aggiudicarsi più poltrone al Congreso de los Diputados. Il parlamento iberico sarebbe il più frammentato di tutta la sua storia democratica, secondo il sistema elettorale vigente.

Certo, si tratta di fantascienza politica: ogni elezioni ha una percentuale di preferenze diverse, distinti candidati e dinamiche. Tanto più che Podemos, a questa tornata elettorale, non si è presentato con la sua sigla, ma ha appoggiato diverse liste e candidature nelle varie amministrazioni. Eppure la simulazione, fatta dal El País, ad esempio, mostra un Pp in forte calo: da 186 a 120 deputati e un Psoe con 2 parlamentari in meno. Di contro Podemos conquisterebbe 37 seggi e Ciudadanos 18, diventando di fatto rispettivamente la terza e quarta forza politica del Paese. Anche la lista civica Compromís della comunità autonoma di Valencia entrerebbe per la prima volta in Parlamento con 7 deputati ed Erc, la sinistra indipendentista catalana, arriverebbe a 8 scranni.

Izquierda Unita, invece, perde terreno mentre il partito centrista UPyD (Unione progresso e democrazia) di Rosa Díez rimarrebbe fuori. Il quadro che emerge, secondo i pronostici, è quello insomma di un parlamento ingovernabile, dove i popolari, pur scendendo a compromessi con Ciudadanos, i catalani Convergencia i Unió, il partito basco Pnv, quello canario, Upn e Prc, si fermerebbero a 168 deputati, non ottenendo la maggioranza assoluta per governare (175+1).

Dall’altra parte dell’emiciclo anche il Psoe, con i suoi 108 deputati, non avrebbe migliori risultati. Sommandosi a cinque probabili partiti di sinistra, come Podemos e Iu, ed alcuni nazionalisti come Erc, Compromís o il Blocco nazionale galiziano, raggiungerebbe quota 170 parlamentari. Dovrebbe chiedere, dunque, man forte ai moderati come Ciudadanos o CiU per ottenere la maggioranza. Un accordo che molti ritengono, questo sì, fantascienza politica. Unica alternativa per formare una maggioranza di governo? Un governo di larghe intese tra popolari e socialisti.

@si_ragu

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