E’ veramente triste sentire molti commentatori liquidare come una avanzata di forze semplicemente populiste la grande vittoria riscontrata in città come Madrid, Barcellona, Valencia da parte di coalizioni e piattaforme sociali e politiche ampie. C’è chi addirittura lega con un comune ipotetico filo “anti-europeo” la vittoria dell’estrema destra in Polonia con quello che emerge invece come la fine del bipartitismo in Spagna e del rifiuto popolare della politica dell’austerity in salsa iberica.

Questa visione, miope e molto pericolosa, è esattamente la stessa che sta spingendo la Grecia verso un’uscita disastrosa non solo per lei ma che – se davvero dovesse verificarsi – segnerebbe forse un momento di non ritorno per il progetto di costruzione europea. E’ la visione secondo la quale solo le forze e le politiche che ci hanno sostanzialmente portato alla situazione odierna sarebbero in grado di farci uscire dalla crisi, non si sa bene perché. E’ la visione ahimé dominante nelle cancellerie europee, Palazzo Chigi compreso: per questo suonano veramente ridicoli i gridolini di gioia di Renzi e le sue dichiarazioni secondo le quali l’Europa deve cambiare. E’ inutile illudersi: nonostante la grancassa mediatica, il governo Renzi non sta facendo assolutamente nulla per cambiare davvero la politica europea. All’Eurogruppo Padoan dice più o meno le stesse cose di Schauble e de Guindos sulla Grecia. E nelle sue dichiarazioni specifica sempre non quale sia la prospettiva europea, ma quale sia l’eventuale pericolo di “contagio” per l’Italia nel caso di un’eventuale Grexit, dimostrando la stessa tragica mancanza di visione dell’interesse comune di tutti gli altri ministri e capi di Stato europei. Anche il governo Renzi, dunque, sta come gli altri abbandonando la Grecia al suo destino ed è incapace di mettere in campo una dinamica diversa rispetto a quella della Merkel e di Hollande. Sembra insomma aver abbandonando ad altri il campo di battaglia europeo, una volta ottenuto un certo spazio di manovra in Italia. Dimostrando così che anche questa nuova generazione di politici sedicenti progressisti non ha per nulla assorbito il senso di che cosa voglia davvero dire fare politica propriamente europea, restando sostanzialmente indifferente a ciò che succede fuori dai nostri confini. Restando un po’ provinciale insomma.

Tornando alle elezioni amministrative spagnole, sarebbe impreciso ritenere che a Madrid e Barcellona abbia vinto solo Podemos. Non è cosi. Naturalmente, né Madrid né Barcellona sarebbero state conquistate senza l’emersione prepotente di Podemos e senza la sua capacità di mobilitazione e presenza mediatica. Ma le nuove prime cittadine delle due città più importanti della Spagna, donne molto diverse per generazione e per storia personale, hanno dietro di sé una vasta coalizione, nella quale la buona politica e l’associazionismo si sono mescolati e che sono il risultato della onda lunga del 15M. Non ha vinto un partito o un movimento, ma diverse forze sociali e politiche insieme, di cui fanno parte Podemos, ma anche i verdi e gruppi di sinistra: una coalizione (Ahora Madrid nella capitale e Barcelona comù a Barcellona) che non ha fatto una sommatoria di sigle “ come la vecchia politica” ma che si è riunita intorno a obiettivi forti e condivisi, portati avanti con personaggi credibili e davvero rappresentativi, come ha efficacemente detto Anna Colau. E ha vinto anche grazie al fatto che, nonostante il Pp sia ancora il primo partito per numero di voti, le coalizioni che si sono costruite con l’accordo di Podemos hanno saggiamente saputo tirare fuori il meglio del fronte anti-Pp e anti-austerità, senza cadere in inutili moralismi e splendidi isolazionismi alla Grillo.

E senza disdegnare chi ha avuto esperienza anche lunga in politica e nella società, ma ponendosi dalla parte dei cittadini, dell’ambiente, della lotta alla corruzione. E’ inoltre significativo, anche in vista delle elezioni nazionali previste il prossimo novembre, che Podemos presentatasi con il suo simbolo solo alle elezioni “regionali”, abbia raccolto dei risultati incoraggianti, ma non tali da fare presumere una vittoria senza alleanze alle elezioni di novembre. Ciò soprattutto dopo l’esplosione mediatica, per molti costruita a tavolino per contrastare Podemos, di una realtà come Ciudadanos: partito conservatore nato in Catalogna e diventato in pochissimi mesi una presenza importante nel panorama politico spagnolo, anch’esso con un giovane leader e un’agenda anti-corruzione difficile da fare ingoiare al Pp.

Podemos ha eletto 129 consiglieri regionali, ma è comunque la terza forza politica dietro Pp e Psoe. E in molti luoghi, è il Pp il primo partito in termini di voti: anche a Valencia, dove la roccaforte della inamovibile e carismatica sindaca Rita Barberà, al potere da 24 anni, è stata finalmente espugnata da Compromis, alleanza allegra fra ecologisti, sinistra non comunista e regionalisti progressisti guidati da una leader carismatica e davvero popolare, conosciutissima per la sua lunga battaglia contro gli scandali come Monica Oltra. Con il 23% dei voti, Compromis può aspirare con Juan Ribò alla guida della città e si contende con i socialisti quella della Comunidad Valenciana: il Psoe ha preso più voti di Compromis alle elezioni regionali, ma Podemos arrivato largamente dietro Compromis, ha chiaramente annunciato che sosterrà solo Monica Oltra alla Presidenza della Comunidat. Questo elemento è particolarmente rilevante perché Valencia è stato per molti anni un luogo fortemente simbolico per il dominio della destra più retrograda e affaristica, quella della speculazione edilizia e della corruzione.

E rappresenta per me personalmente una sincera emozione, visto che nel mio ruolo di presidente dei Verdi europei ho seguito fin dall’inizio le vicende di questa inedita coalizione. Esattamente una settimana fa ero a Valencia con Monica Oltra e Joan Ribò a condividere con cittadini già molto ottimisti una bellissima e benaugurante paella. Monica mi aveva invitato per dire forte e chiaro nella fase finale della campagna che il riferimento per Compromis e per la città di Valencia sono i Verdi europei e il loro messaggio economicamente e socialmente rivoluzionario e democratico. E questo è sicuramente di buon augurio per i governi di molte città spagnole, con gli oltre 100 consiglieri verdi eletti nelle liste delle coalizioni di “maggioranza sociale”, come le ha definita la neo-sindaco di Madrid Manuela Carmona; coalizioni che sono spuntate un po’ dappertutto e hanno decretato la fine, o almeno la grossa crisi, del bipartitismo spagnolo. Per me è anche interessante notare come una forza politica piccola come Equo e una più rilevante ma pur sempre minoritaria come Iniciativa Por Catalunya-Vers in Catalogna siano riuscite a condizionare in chiave chiaramente verde programmi e liste delle coalizioni vincenti. Anche in Spagna, come in Italia o in Grecia, infatti, la sensibilità ecologista e la piena comprensione del valore di profonda e positiva trasformazione sociale non è la priorità per i nuovi movimenti. Che però sono assolutamente pronti ad accoglierla e rilanciarla.

Una parola merita anche la fortissima presenza femminile in questa campagna elettorale. Dall’Andalusia (dove si è votato qualche mese fa) a Madrid, a Barcellona a Valencia e Navarra, sono donne forti, spesso giovani ma sempre, con una lunga esperienza alle spalle ad essere protagoniste, curiosamente a destra come a sinistra. Una bella lezione per tutti, Italia compresa naturalmente!

Quali le conseguenze di questo voto per le elezioni spagnole in novembre e per gli equilibri europei?

Molto ci diranno i prossimi giorni e il prosieguo della partita con la Grecia. Concordo con quei commentatori che ritengono che se la Grecia riuscisse a trovare un accordo si dimostrerebbe che si può superare l’austerity “uber alles”: ricetta che anche il nostro governo, chiacchiere a parte, sostiene a Bruxelles: quindi è possibile che si stia irresponsabilmente andando verso una situazione di Mad, mutual assured distruction, come mi ha detto lo stesso Varoufakis qualche mese fa, che non potrà che avere conseguenze devastanti se non sull’euro a breve, sicuramente sul progetto di integrazione europea. Invece, non concordo affatto con chi sostiene che il nuovo corso che si annuncia in Spagna e quello che si sarebbe forse potuto fare in Grecia senza lo strangolamento lento al quale Bce e Fmi la stanno sottoponendo, sia foriero di ri-nazionalizzazioni e divisioni. Al contrario, potrebbe essere l’inizio della riscossa.

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