I cittadini di Roma non lo sanno, ma tra i tanti primati che vantano ce n’è uno che sicuramente gli abitanti  delle altri capitali non gli invidiano: quello di avere nella propria cintura urbana, al XX municipio per la precisione, località  Osteria Nuova, uno dei più grandi depositi di scorie nucleari del mondo. Non proprio una cosa rassicurante, come ebbe a riferire in una commissione parlamentare dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 persino un personaggio prudente come l’allora capo del servizio segreto militare (Sismi) Nicolò Pollari, secondo il quale anzi quel deposito costituiva un punto critico per la sicurezza e non solo per quella di Roma.

Non si trattava allora, come non si tratta oggi, di una esagerazione. Nel centro ricerche Enea della Casaccia ospitato in quel municipio, in una mezza dozzina di immensi capannoni,  sono infatti custoditi circa 7 mila metri cubi di rifiuti radioattivi frutto della nostra fallimentare avventura nucleare. Il tutto confezionato (insieme a una discreta massa di scorie di provenienza ospedaliera) in quasi 3 mila bidoni sigillati nella classica confezione giallonera.

Naturalmente, non è il solo sito a rischio radioattivo sparso per l’Italia. Qua e là ci sono centrali nucleari dismesse che aspettano ancora di essere smantellate, da Latina al Garigliano e vari impianti del nord (Saluggia, Caorso, Trino Vercellese) sui quali in passato più di una volta sono stati lanciati allarmi radioattivi.

Il caso romano però è davvero particolare. Avendone fatto esperienza diretta (perdonerete l’autocitazione) posso dirlo con sicurezza. Sono stato al suo interno, ho visitato gli edifici, ho visto quello che d’importante c’era da vedere, dal reattore alle scorie, traendone anche un documentario che il Parlamento intero in seduta forzata dovrebbe essere costretto a visionare. Ebbene, quello che accade alla Casaccia è una vergogna nazionale, una situazione intollerabile che dovrebbe fare arrossire deputati, senatori e pure i membri dei governi che in questi anni si sono alternati a Palazzo Chigi.

Quella montagna di scorie radioattive è infatti nel centro abitato, dunque un pericolo costante in caso di incidente. Di più, come evidenziava quel documentario, era ed è anche estremamente vulnerabile, facilmente avvicinabile e persino raggiungibile con un lancio di qualsiasi oggetto, dalla bomba alla molotov.

Non vorrei scendere in particolari, ma appena giusto per accennare credo siano difficilmente quantificabili ed immaginabili le conseguenze di un attentato serio, magari aereo, portato su quel sito da un qualche pazzo terrorista. Un rogo, una esplosione sul deposito di scorie potrebbe mettere in moto un processo che gli esperti interpellati non hanno esitato ad assimilare a quello causato dall’esplosione di un “ordigno nucleare sporco”.

Dopo quell’inchiesta, sullo scandalo delle scorie radioattive fioccarono le proteste. Ci furono interrogazioni parlamentari, arrivarono anche impegnative promesse (le solite): il deposito verrà smantellato anche perché verrà presto realizzato il Deposito nazionale dei rifiuti nucleari.

Sono passati otto anni. Le scorie ospitate nel centro Enea sono ancora lì. Non solo, del famoso Deposito nazionale delle scorie radioattive non abbiamo visto tracce. Se ne continua a parlare, ma bisogna ancora individuare il sito adatto nel quale allocare anche le famose scorie del nucleare militare sulle quali scrivono Antonio Pitoni e Giorgio Velardi. Solo che di queste non si sa quante siano, né si conosce la loro esatta natura.

La solita musica, insomma, anche se i parlamentari del Movimento 5 Stelle cercano di saperne di più attraverso l’interrogazione presentata dal senatore Gianni Girotto. Nel frattempo, l’incubo delle scorie nucleari continua a turbare i sonni di tanti cittadini italiani. Dei semplici cittadini certamente, ma non delle tante autorità civili e militari che pure qualche obbligo sul tema ce lo avrebbero. Loro, le Autorità, dormono sonni tranquilli. Anzi, se ne fregano proprio.

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