La “Sposa del deserto” è nelle loro mani e ora il timore è che possano violentarla, come hanno fatto a Mosul, Hatra, Nimrud. Conquistata dai miliziani dello Stato Islamico senza che l’esercito di Bashar Al Assad si opponesse in una vera e propria difesa della città tesoro dell’antichitàPalmira è un ostaggio che attende di conoscere il proprio destino. Una foto che mostra una bandiera nera con l’emblema del Califfato sventolare sulla cittadella antica circola su Twitter, ma finora non è stato possibile verificare la sua autenticità. La paura, che somiglia ad una terribile certezza, rimane: le meraviglie archeologiche patrimonio dell’umanità della città a 240 km da Damasco rischiano la distruzione, come da giorni avverte l’Unesco.

Mentre l’esercito regolare siriano perde terreno sconfitto su più fronti dai ribelli anti-Assad e dagli jihadisti di Isis e del Fronte Al Nusra, gli uomini del Califfato sono riusciti ad entrare nel museo di Palmira. Lo ha reso noto Maamoun Abdulkarim, direttore del dipartimento dei musei e delle antichità di Damasco. Gli jihadisti “hanno rotto delle repliche in gesso, sono ritornati venerdì, hanno chiuso le porte e posto delle guardie di fronte”.

Una fioca speranza per la sorte delle meraviglie della “Perla del deserto” è la notizia che molte delle statue trasportabili (ma nel museo molte non lo sono affatto), dei gioielli e dei manufatti sono stati portati via e nascosti dalla locale direzione delle antichità. Ma non si hanno né numeri né particolari e soprattutto nessun luogo sembra ormai sicuro nella zona. “Abbiamo gradualmente inviato i reperti archeologici a Damasco – ha spiegato Abdulkarim – ma ci sono parti enormi come sarcofagi (all’ingresso al museo, ndr) che pesano 3-4 tonnellate e che non siamo in grado di spostare. Questo è ciò che ci preoccupa”, ha sottolineato Abdulkarim. “Non c’è stato alcun movimento (dell’Is, ndr) all’interno del sito archeologico”, ha aggiunto Abdelkarim, auspicando che i miliziani jihadisti “non ripetano le distruzioni di cui sono stati responsabili in Iraq”.

La città della leggendaria regina Zenobia – dal tempio di Baal alla strada colonnata, dalla necropoli alle terme di Diocleziano – è essa stessa un irripetibile e straordinario museo a cielo aperto, ma anche nel chiuso delle 12 sale del museo vero e proprio si nasconde un tesoro immenso e fragilissimo che ora rischia di andare perso.

Fondato nel 1961 all’entrata della città moderna, raccoglie numerosi reperti ritrovati nel sito archeologico che testimoniano l’alto livello di raffinatezza raggiunto dall’arte palmirea. Già dal giardino, dove il visitatore viene accolto dalla bellissima statua di leone trovata vicino al tempio di Atena Allath e da tanti altri reperti, ci si rende conto di essere in luogo più che speciale. E poi l’atrio con la ricostruzione della grotta dell’età della pietra scoperta a 22 chilometri a nord della città. Nei due piani della costruzione oltre a statue, sarcofaghi, monete, tessere in terracotta per l’ingresso a templi, stucchi e vetri stupendi, ci sono i famosissimi rilievi funerari con il ritratto del defunto che chiudevano i loculi delle tombe collettive dei clan locali.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha “condannato con forza gli atti terroristici barbarici che continuano” ad essere commessi dallo Stato islamico in Siria, inclusa la violenta presa dell’antica città di Palmira. Ha espresso “profonda preoccupazione per le migliaia di abitanti nella città, come come per quelli sfollati” a causa dell’avanzata degli jihadisti. Chiede inoltre che “ai civili sia garantito un passaggio sicuro per fuggire dalla violenza e riafferma che la responsabilità primaria di proteggere la popolazione spetta alle autorità siriane”. “La decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è un risultato importante frutto dell’azione del governo italiano”, si legge in una nota del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini.

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