Quando concluderà la sua triste e malinconica parabola di ripetitivo cineasta settantenne Woody Allen? Riuscirà a vivere degnamente la sua inevitabile carriera di anziano signore newyorchese senza funestarci con un’ennesima stupidaggine girata in fretta e furia, con un tizio protagonista – c’è anche la variante al femminile per chi preferisce – che balbetta, incespica, fa battute su dio e gli ebrei, e che appena vede una gonnellina si arrapa come uno scimpanzé? Finirà questo mesto incedere incensato dalla pigrizia d’autore e di critica prima che il tempo della decenza scada? La risposta, ahimé, è no.

Ci saranno altri Paris in love, Rome, Manhattan, Melinde, Cassandre, Cristine e Jasmine, riscritture continue del basico plot di Crimini e misfatti in salse londinesi, parigine, madrilene…all’infinito. Un tormento che non si concluderà mai. Soprattutto per chi Woody Allen l’ha amato follemente. E l’ha amato perché la serietà con cui faceva ridere e riflettere, il rigore morale con cui cercava stilisticamente un disegno espressivo, erano dei tratti distintivi di quello che si definiva un autore. Oggi dell’autore c’è rimasta la vuota, inconcludente, insipida reiterazione di una trovata drammaturgica. Come quei comici famosi per un personaggio a cui il pubblico, sempre meno numeroso, chiede sempre lo stesso sketch. Woody Allen conosciuto nelle vhs di un videonoleggio metà anni ottanta era un intellettuale problematico tutto da scoprire, pronto ad omaggiare Fellini e Bergman, a raffrontarsi da par suo col dolore, la perdita, il senso di colpa per una bugia, o di paura della morte. Ma anche quello che cercava con brio e originalità strade per il sorriso che andavano dal demenziale, alla commedia brillante, dalla commedia sentimentale all’umorismo non sense. Meglio ricordare a chi ha meno di 40 anni (e forse anche a qualche distratto 50enne) una suddivisione logica e oggettiva che corrisponde ad una poetica come quella che riassumo in poche righe ora: Allen ha vissuto quattro fasi del suo cinema che sono corrisposte alle donne con cui si è accompagnato.

La sua scrittura, la sua arte, si sono costruite con il continuo e prolifico raffronto con le mogli/fidanzate avute. La fase scanzonata, di comicità demenziale, ribelle e finanche anarchica di fine anni sessanta/inizio settanta (Prendi i soldi e scappa, Bananas…) che va pari passo con l’amore per Louise Lasser; la commedia brillante che prende il via quando nasce l’amore per Diane Keaton, e in mezzo ci sono i cascami intellettualoidi dell’anarchia suddetta con Amore e Guerra, poi l’avvio dei capolavori giovani: Io e Annie, Manhattan, Stardust Memories…; e ancora la commedia sentimentale venata di psicologismi e incredibilmente matura del periodo Mia Farrow ad inizio anni ottanta (Zelig, Broadway Danny Rose, Hannah e le sue sorelle, Crimini e misfatti) che s’infrange nel film limite sia stilisticamente che contenutisticamente di Mariti e Mogli (1992), film cesura che sancisce la fine del rapporto con la Farrow e l’inizio del rapporto con la figlia adottiva Soon-Yi. Momento in cui muore definitivamente Allen cineasta. O meglio è la fine di un metodo di lavoro per qualcuno che vuole raccontare se stesso, le sue idiosincrasie, i suoi fantasmi.

Sembra che da Soon-Yi in avanti non esiste più l’Allen privato, ma l’Allen matrice apatica e atemporale. Da qui in avanti Allen non c’è più, o meglio c’è l’automa commerciale: un essere meccanico che fa spavento per come ha saputo riscrivere la macchietta di se stesso e declinarla sempre allo stesso modo per altri vent’anni. Un killer seriale di battutacce e schemi precostituiti, collezionista di attori/star pupazzetti giovani e in voga per dare smalto all’opacità perduta della propria voce intima. Dà fastidio vedere un talento seppur condizionato dall’età sprecare il proprio tempo in ridicole pochade a cui nemmeno più crede lui stesso. Quindi, da uno spazio personalissimo come il blog, luogo di espressione di opinioni e non di fatti assoluti, suggeriamo alle giovani generazioni di lasciar perdere i film alleniani post ’92 e men che meno quelli che finiranno in sala nei prossimi anni. Recuperate Allen con lentezza, assaporate uno dopo l’altro i suoi film seguendolo dai primi successi del ’69-’’70 fino al ’92: scoprirete un uomo vero, fragile, disilluso e terribilmente divertente. Oltre quel limite osserverete e ascolterete sempre la voce di un pallido fantasma che in certi momenti fa perfino una gran pena.

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