Bobigny, nella banlieue di Parigi, sono in corso scontri tra polizia e manifestanti, dopo la decisione della giustizia francese di assolvere i due agenti coinvolti nel processo sulla morte dei due ragazzi Zyed e Bouna, che scatenò le proteste del 2005. Secondo I-Télé, una donna è stata ferita e i gendarmi sul posto hanno dovuto chiamare i rinforzi. Davanti al Palazzo di Giustizia sono riuniti “circa 250 manifestanti”, prosegue l’emittente all-news. Obiettivo del raduno è protestare contro la decisione del tribunale di Rennes di assolvere i due agenti di polizia finiti sul banco degli imputati per omissione di soccorso nei confronti di due ragazzini, Bouna Traoré e Zyed Benna, 15 e 17 anni, la cui morte scatenò 10 anni fa una violenta rivolta nelle banlieue di Francia.

I due adolescenti, piccoli spacciatori, si erano rifugiati in una cabina elettrica di Clichy-sous-bois (Parigi) per sfuggire alla polizia che li inseguiva e rimasero folgorati. Un terzo, Muhittin Altun, 17 anni, si salvò riportando però gravi ustioni. La morte dei due minorenni scatenò settimane di rivolta, con centinaia di auto bruciate e disordini ovunque. I due poliziotti assolti oggi, Stephanie Klein e Sebastien Gaillemin, 38 e 41 anni, hanno sempre sostenuto di non essersi resi conto del pericolo che correvano i due ragazzi.

Da quella sera del 27 ottobre in cui Zyed e Bouna, di ritorno da una partita di calcio, furono inseguiti dalla polizia e per paura si rifugiarono in una cabina della rete elettrica dove morirono folgorati, per settimane attorno alle città francesi ci fu il coprifuoco. Prima si trattò di uno schieramento di polizia per arginare le aggressioni a chiunque portasse una divisa, gli assalti agli autobus, gli incendi di auto (10.000 durante tutta la rivolta), poi di un vero e proprio stato di emergenza, decretato dal ministero dell’Interno.

I due poliziotti, un vigile in divisa e una centralinista del commissariato che era in contatto con lui, dovevano rispondere di omissione di soccorso. Secondo l’accusa, pur sapendo che Zyed e Bouna rischiavano di morire, non avrebbero fatto nulla per impedirlo. Si salvò, con gravi ustioni, soltanto un terzo ragazzo. Tutto il processo si basava sulle registrazioni dei dialoghi via radio fra l’agente sul posto e la collega alla base: “Se entrano in quella cabina non scommetto sulla loro vita”, dice l’agente. La frase è stata l’arma principale dell’accusa, ma l’uomo, in lacrime, ha spiegato durante il processo che pronunciando quelle parole non sapeva che i due adolescenti si fossero chiusi dentro. Li aveva visti soltanto scappare in quella direzione.

Gli avvocati delle famiglie hanno annunciato ricorso in appello, aggiungendo di non volersi arrendere né ora né mai e di voler tentare tutte le strade per avere giustizia. “Sono morti per nulla, sono disgustato”, ha detto uno dei fratelli di Zyed, arrivato da bambino con la madre dalla Tunisia. “Ho l’impressione che i cattivi siamo noi“, gli ha fatto eco il fratello di Bouna, che viveva con il padre arrivato negli anni Settanta dalla Mauritania e a 15 anni era già una promessa del calcio.

Con il loro stesso hashtag, #ZyedetBouna, twittano anche Marine Le Pen, leader del Front National (“Giustizia è fatta”) e la nipote Marion Marechal (“La sentenza dimostra che le canaglie avevano messo a ferro e fuoco la banlieue per loro piacere e non per un abuso della polizia”).

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