la rivoluzione della vertiàUn significativo reportage scritto e fotografato nel tipico stile del new journalism. Immediato, veloce, d’impatto, senza sconti. Si tratta di La rivoluzione della verità, testi di Silvestro Pascarella e fotografie di Davide Caforio (Edizioni dEste), un affascinante viaggio nell’Afghanistan contemporaneo, un diario di momenti di vita, di incontri e di impressioni personali, corredato da splendide e vivide immagini, un pellegrinaggio compiuto al seguito del contingente italiano della missione Isaf della Nato in un paese alle prese con la propria ricostruzione e con un processo di democratizzazione irto di difficoltà.

Ho trovato molto significative le parti dedicate a Kabul, la quale, oltre alla totale devastazione in cui gli eventi bellici l’hanno ridotta negli ultimi trent’anni anni, sta subendo terribili catastrofi dovute alle politiche locali e internazionali, nate dopo la cacciata del regime talebano. Quache anno fa, in un articolo, avevo notato come la difficile, quasi impossibile convivenza fra gli occupanti statunitensi, le organizzazioni umanitarie occidentali e la cultura del luogo, legata a schemi rurali, agricoli e tribali, crea ancora più confusione e disorientamento, in un momento in cui ogni possibile nuova pianificazione avrebbe bisogno di essere studiata con calma e consapevolezza. Urbanisticamente Kabul rappresenta perfettamente l’anarchia venutasi a creare dopo la rotta talebana: conflitti etnici, giochi di potere, violenza gratuita, corruzione, crescita della popolazione. I vari interventi voluti dall’amministrazione locale con l’appoggio statunitense, sono un susseguirsi bizzarro di architetture che poco hanno a che vedere con il reale bisogno della popolazione. Prima del 2002 a Kabul non esistevano edifici multipiano, il mercato Islami (luogo di “culto” per i commercianti ambulanti e abusivi) si stendeva felicemente sulle strade e l’impatto sul traffico e sullo spazio pubblico manteneva una sorta di regolamentata anarchia che oggi, grazie alle strutture costruite tutt’intorno, rischiano di farlo diventare, definitivamente, un budello di smog. L’aumento esponenziale affligge la strade della capitale afghana, strade vecchie, in rovina, che a fatica sorreggono i cingoli dei blindati e dei carri armati. La triplicazione della popolazione, inoltre, crea un ambiente precario e potenzialmente pericoloso per i pedoni, in gran numero, vista la povertà in cui imperversa la città. La maggioranza dei nuovi “edifici residenziali” vengono costruiti con mattoni cotti nelle fornaci improvvisate nei sobborghi di Kabul, incrementando ed esasperando ulteriormente il già grave inquinamento ambientale.

Intersecati ai capitoli in cui l’opera si articola ci sono stralci tratti dalle riflessioni di giovani studenti delle scuole in cui gli autori sono sovente chiamati a raccontare la loro esperienza e a testimoniare cosa succede e come sta cambiando quella parte di mondo. Utile proprio in una funzione divulgativa anche l’inquadramento storico e geopolitico al quale ha collaborato il Tenente Colonnello Stefano Sbaccanti. Ha scritto la sentita prefazione Greta Ramelli, la cooperante rapita in Siria, testimone preziosa, che rompe il silenzio regalandoci un punto di osservazione coinvolto e partecipe.

A questa opera si può arrivare, in un percorso di approfondimento, o da quest’opera si può partire, per cercare di andare oltre l’nformazione che ci giunge dai notiziari o attraverso le news rilanciate dai giornali, e per provare a conoscere, guidati dagli autori, l’Afghanistan da dentro le sue città e i suoi villaggi, immersi nei suoi panorami, muovendosi idealmente nei luoghi in cui il popolo afghano, le sue istituzioni e le forze internazionali di pace cercano di costruire, giorno dopo giorno, con fatica e non senza immense contraddizioni, una nazione nuova.

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