Nel giorno dell’Abetone, il primo arrivo in salita di questo Girum Italicum 2015, vince un altro giovanissimo, dopo l’exploit di Davide Formolo a La Spezia. Stavolta il più bravo è lo sloveno Jan Polanc da Kranj, città ai piedi del bellissimo monte Triglav – il Tricorno di tanti eroici assalti degli alpini nella Grande Guerra. Ha compiuto ventitré anni pochi giorni fa, il 6 maggio. Ed è pure il compagno di stanza, oltre che di squadra, dell’abissino Tsgabu Gebremaryam Grmay. Se questi non sono incroci misteriosi del destino…

La vittoria inattesa di Polanc non oscura la fitta e convulsa trama dei duelli che alle sue spalle si sono sviluppati nel bel finale di corsa: quando la strada punta al cielo, il ciclismo diventa campo di battaglia. I favoriti sono già alla resa dei conti. L’orgoglioso Alberto Contador vuole dimostrare di essere lui il numero uno del mondo. Aveva promesso di attaccare alla prima settimana. Ha mantenuto la parola, cioè la minaccia. A cinque chilometri e mezzo dal traguardo è scattato come una furia, sembrava spinto da una molla. In un battibaleno ha lasciato basiti Fabio Aru e Richie Porte, che sino a quel momento gli erano ai mozzi. I due hanno però reagito con autorevolezza, che a pedali significa restituire la sberla. Lo hanno riacciuffato in un amen. Contador ha abbozzato, ma ha continuato a spingere: non lo chiamano per niente El Pistolero. Il dubbio è: perché ha atteso così tanto per attaccare? Un bluff? No: ha saggiato le forze dei nemici. Avete in mente il torero, prima della stoccata letale?

Solo che Aru è sardo verace: se lo sfotti, te la fa pagare. Non c’è stato al giochetto della vittima sacrificale. Ha inarcato la schiena, ha spinto a tutta. Ha ripreso la ruota del rivale, anzi, lo ha sopravanzato: come dire, chi ti credi d’essere? Dietro, come un’ombra, Richie Porte ha recuperato senza affanno. A mio avviso, se gli regge questa forma eccezionale che dura ormai da due mesi (troppi secondo la parrocchia del ciclismo, ossia i competenti) è lui l’avversario più pericoloso di Contador. Dalla sua, Aru, ha la squadra: forte, compatta. Nel finale ha avuto il supporto essenziale di Mikel Landa Meana, che gli ha dato una grossissima mano. Contador era solo. E pure Porte. La differenza la faranno le strategie di corsa. La Tinkoff, la Sky, l’Astana e le loro alleanze. Le gerarchie mondiali si rispecchiano in questo Girum che è iniziato come da tempo non si vedeva: tanta qualità (e tracciati molto interessanti), soprattutto una nuova, arrembante generazione di ragazzini terribili, senza complessi d’inferiorità. A cominciare da Aru e Formolo (il quale ha pagato pegno, dopo il trionfo di La Spezia: ventiseiesimo, a due minuti e 32 da Polanc. In classifica è nono).

Quanto al nostro etiope, Tsabu non ha brillato, stavolta: si è piazzato settantunesimo, a 9 minuti e 42 secondi da Jan. Avendo un compagno in fuga e per di più in testa alla corsa, non doveva far altro che starsene tranquillo nella pancia del plotone: il ciclismo è anche gioco di squadra. Inoltre, l’uomo della Lampre che punta ai piani alti della classifica è Przemyslaw Niemiec: il quale è arrivato al traguardo con Rigoberto Uran Uran (prima vittima), e con le seconde schiere. Visto un ottimo Damiano Cunego e il vecchio Ivan Basso che ha lavorato per Contador propiziandogli i tempi e gli spazi dell’attacco.

Polanc è figlio d’arte. Suo padre Marko, ex corridore, è direttore sportivo della Radenska, la migliore squadra slovena, quella in cui Jan ha fatto tirocinio prima di approdare alla Lampre, unica squadra italiana del circuito World Tour, la Serie A del ciclismo internazionale, il cui team manager è Beppe Saronni: “Siamo tutti molto affiatati ed amici”, mi dice Jan, che parla bene l’italiano, è simpatico e ovviamente euforico per l’impresa. Vincere all’Abetone – dove arrivò primo un certo Charlie Gaul… – è cosa che ti consacra. Ed è ossigeno vitale per la politica degli sponsor: hanno puntato sulla globalizzazione e i giovani. Al Giro, precisa Jan, “siamo davvero un gruppo internazionale”. Oltre all’etiope Grmay, c’è un cinese, un argentino, un polacco. Gli italiani sono appena tre (uno è Diego Ulissi, gli altri Roberto Ferrari e Manuele Mori). In classifica generale Niemiec è ventottesimo, Polanc ha sostituito Grmay al quarantesimo posto, mentre l’etiope è scivolato di tre posizioni ed ora 43esimo, a 18 minuti e 24 secondi dalla maglia rosa Contador. Lo sloveno, inoltre, è diventato capolista del Gran Premio della Montagna. Nella prestigiosa graduatoria del “miglior giovane”, Grmay era quarto, ora è sesto, mentre Polanc è quinto. Sfida in famiglia. Tanto per ribadire come questa sia una classifica di tutto rispetto, in testa c’è Fabio Aru, davanti al colombiano Johan Chaves Rubio. Insomma, Beppe Saronni può essere più che soddisfatto dei suoi ragazzini.

Del resto, l’Abetone è salita che ha fatto la storia del nostro ciclismo. Qui spiccò il volo l’Airone, per la prima volta, il 29 maggio del 1940, all’undicesima tappa di un Giro che già sentiva spirare i venti cupi e tragici della guerra. Fausto Coppi era il più giovane tra i “girini” in gara. Assoldato dalla Legnano per dare sostegno a Gino Bartali, allora la star incontrastata del ciclismo italiano. Ma Bartali subì una brutta caduta venendo giù dalla Scoffera nella seconda tappa e quell’incidente lo condizionò per tutto il resto della corsa. All’undicesima tappa, Coppi ebbe il via libera dal direttore sportivo Eberardo Pavesi, detto l’avocatt. Doveva acchiappare Ezio Cecchi, in fuga, invece non solo lo riprese appena dopo aver scollinato l’Abetone, ma filò via come una motoretta, cento chilometri di fuga sino a Modena. Quel Giro che sapeva di polvere da sparo fu suo il 9 giugno. Il 10 Mussolini dichiarava guerra.

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