Sei mesi dopo la sentenza della Cassazione: tutto prescritto, nessun risarcimento il caso Eternit torna in un’aula di giustizia. Spetterà al gup Federica Bonpieri stabilire se Stephan Schmidheiny, l’imprenditore svizzero ex proprietario dell’Eternit Italia, dovrà essere processato per omicidio volontario. 

Tra le parti civili, per ora, non ci sono lo Stato e la Regione
Il 25 novembre, a cinque giorni dal verdetto della Suprema corte, il premier Matteo Renzi promise ai famigliari delle vittime che se ci fosse stato un altro processo lo Stato si sarebbe costituito parte civile. A oggi, ma c’è tempo fino alla prima udienza del processo in caso di rinvio a giudizio, sono una quarantina le richieste di costituzione di parte civile. Non ci sono però quelle della Presidenza del consiglio dei ministri e quelle delle Regioni in cui si trovavano gli stabilimenti della multinazionale dell’amianto: Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli)

La difesa di Schmidheiny: “Violati i diritti umani”
L’accusa di omicidio volontario, 258 vittime secondo i pm, viene definita “assurda” dalla difesa. E la procura di Torino, nel promuoverla, starebbe “ignorando doppiamente il principio ne bis in idem“. “Questo processo prima o poi si chiuderà perché c’è il ne bis in idem. I fatti sono gli stessi del processo precedente – sostengono gli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva -. A noi sembra una forzatura. Immaginare che siano stati investiti 75 miliardi di vecchie lire per uccidere le persone non è logico. La riapertura di questo processo – si afferma – viola i diritti umani: infatti il principio del ne bis in idem, sancito dalla Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, garantisce che nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. La difesa pertanto si augura che nell’attuale udienza preliminare il giudice consideri l’accusa inammissibile e dichiari chiuso il procedimento”.  “La nuova iniziativa penale contro Stephan Schmidheiny indica che in Piemonte è corso una caccia alle streghe suscettibile di essere strumentalizzata in chiave politica”. Tuttavia “a dispetto della nuova azione penale il programma umanitario di Schmidheiny in corso dal 2008 a favore delle effettive vittime della catastrofe dell’amianto sarà ulteriormente protratto. Già nel corso del primo procedimento – si sottolinea – la difesa ha dimostrato che le accuse della procura sono prive di fondamento. Schmidheiny non è un assassino. In qualità di pioniere dell’abbandono dell’amianto, e grazie alla sua responsabile gestione industriale, ha preservato dai pericoli migliaia di persone”.

Il pm Guariniello: “L’Italia può far scuola”
“Il nostro Paese è l’unico in cui si fa un processo e questo è un vanto per la giustizia di tutta Italia. È un caso che può fare scuola anche in altri Paesi” dice il procuratore Raffaele Guariniello al termine della prima udienza. “È stata la stessa Cassazione a dirci che nel processo precedente si parlava solo del disastro ma non entrano in gioco gli omicidi. Questo ci ha dato un’ulteriore spinta per andare nella direzione di un nuovo processo con un nuovo capo d’accusa”. Nelle motivazioni della sentenza gli ermellini, in sintesi, avevano scritto che il processo per i morti di amianto era prescritto prima ancora di cominciare e l’accusa avrebbe dovuto contestare non il disastro ma l’omicidio e le lesioni. Senza contare che la politica si era dimostrata lentissima ad adeguare le normative, nonostante gli effetti dell’asbesto fossero noti non solo in sede scientifica, ma anche in sede di Comunità europea dalla fine degli anni Settanta.

Le parti civili: “Non possiamo fare altro che avere fiducia”
“Come ci sentiamo? Siamo giù di corda. Non avremmo dovuto arrivare a questo punto” dice Angelo Marinotto, 78 anni, di Casale Monferrato, al Palazzo di Giustizia di Torino per costituirsi parte civile “Comunque – aggiunge il concittadino Tommaso Anello, 61 anni – il mondo ha capito il nostro dramma. Il mondo sì e i giudici di Roma no: non dovevano prescrivere un reato che ancora oggi miete sessanta vittime all’ anno”. Presente anche il sindaco di Casale Monferrato, Titti Palazzetti: “Siamo qui con determinazione e con forza di volontà. Speriamo che questa volta la giustizia e il diritto possano coincidere”.  “Si ricomincia da capo. È dura – dice Bruno Pesce, dell’Afeva (Associazione famigliari e vittime amianto) – ma non possiamo fare altro che avere fiducia nelle istituzioni e nella magistratura”.

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