Parto davvero laborioso, il “manifesto” di Expo per nutrire il pianeta: sei mesi di lavoro, con moltissimi esperti. Chi scrive, come economista, ha avuto a che fare “sul campo” per 13 anni con problemi reali correlati al tema, se pur indirettamente e, come forse molti altri, non può non rimanere sconcertato alla lettura del documento ufficiale.

I punti in cui si articola la Carta sono numerosi. Alcuni sono davvero lapalissiani: chi potrebbe essere contrario alla disponibilità di cibo sano e sufficiente, sempre e per tutti? Chi non condividerebbe la lotta allo spreco, o alle frodi, o al lavoro minorile, o alla dotazione di fondi per la ricerca, o ad aumentare l’educazione a un consumo corretto? Non valgono considerazioni identiche per qualsiasi settore produttivo e per qualsiasi servizio sociale (la casa, la sanità, il lavoro, l’istruzione ecc.)? La conservazione della biodiversità è un punto più specifico per il settore ma, di nuovo, chi può non dichiararsi d’accordo?

Difesa del suolo”: se inteso all’italiana, o all’europea, cioè come difesa a oltranza dei vincoli all’edificazione per difendere colture agricole iper-sussidiate e inquinanti ignora la stretta relazione tra i costi eccessivi delle abitazioni per gli strati più poveri della popolazione e uso del suolo: se il suolo agricolo delle colture estensive fosse trasformato in parchi e prati, con residenze nel verde, sarebbe una tragedia?

Difesa del reddito degli agricoltori”: anche di quelli ricchi europei e americani? E perché i redditi di altre categorie di lavoratori non dovrebbero essere altrettanto difesi? “Uso di fonti energetiche pulite”. Peccato che le fonti fossili costino molto meno di quelle rinnovabili, escluso il legno, il che comporta sia danni alle foreste, che emissioni domestiche micidiali per le categorie più povere (soprattutto per i bambini).

E per combattere la fame occorre un accesso economico ai mercati di sbocco dei piccoli produttori agricoli: devono usare camion elettrici, o vecchi camion diesel poco costosi ma inquinanti? La Carta in proposito sembra ignorare anche la posizione dei paesi poveri, che ritengono ipocrite e inique le raccomandazioni a loro fatte dai paesi ricchi che più hanno contribuito in passato all’accumulo dei gas climalteranti.

Ma adesso veniamo ai temi che la Carta ignora del tutto, e che sono di gran lunga quelli più centrali e più scottanti per il problema. Non vi è alcuna diagnosi seria né sulla dinamica del fenomeno fame, né sulle sue cause e sulla sua localizzazione, che ha visto nell’ultimo cinquantennio, cioè dall’inizio della globalizzazione dell’economia mondiale, dimezzarsi il numero degli affamati e sottonutriti, pur raddoppiando la popolazione del pianeta.

E dove il fenomeno persiste maggiormente? Nelle nazioni meno esposte alla globalizzazione. Sono le campagne arretrate, cioè il persistere dell’agricoltura tradizionale invocata a gran voce da Vandana Shiva sulla stessa Repubblica, che generano la fame, insieme ovviamente alla crescita demografica, tanto più alta e insostenibile quanto più l’agricoltura è arretrata.

Il secondo tema del tutto assente concerne gli Ogm, di cui ci nutriamo da decenni senza conseguenze (e della cui innocuità è convinta la maggior parte degli studiosi). Gli Ogm hanno contribuito agli spettacolari aumenti della produttività agricola, che hanno consentito un calo storico dei prezzi per tutti. E proprio negli Ogm sono riposte le maggiori speranze di progresso tecnico, che può portare a riduzioni ulteriori dei prezzi del cibo.

Da ultimo è del tutto assente dalla Carta, e ben se ne capisce il perché, ogni accenno alla vera vergogna di Paesi sviluppati: i sussidi ai propri agricoltori, le nuove “battaglie del grano” di mussoliniana memoria, un fiume di denaro pubblico che serve contemporaneamente tre nobili obiettivi, cui qui possiamo solo accennare, ma che i lettori della Carta nei Paesi poveri capiranno benissimo.

Tenere alti i prezzi dei beni alimentari per i consumatori dei paesi ricchi, impedire l’esportazione dei prodotti dei paesi poveri (anche con barriere doganali delle più fantasiose, se occorre, quando non bastano i sussidi), e infine sussidiare un’attività estremamente inquinante

il Fatto Quotidiano, 12 maggio 2015

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