Gli occhi che urlano in silenzio dietro l’obiettivo della macchina fotografica, emergendo nel bianco e nero violento degli scatti di Franco Guardascione sono quelli di un’umanità sommersa, allontanata, rimossa dall’orizzonte senza macchia della normalità. Il vuoto attonito di centinaia di sguardi, corpi e volti cui fanno da scenografia sbarre, sporcizia, muri scrostati e servizi igienici senza porte. Benvenuti all’inferno degli Ospedali Psichiatrico Giudiziari, chiusi lo scorso 31 marzo dopo anni di proroghe e pasticci. Una chiusura all’italiana ovviamente, dato che non si sa ancora che fine faranno i detenuti, destinati ad occupare strutture alternative (le cosiddette Rems, Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza) non ancora pronte.

Un’aberrazione unica in Europa, diventata il fulcro del lavoro del fotografo napoletano: dal 2008 al 2014 Guardascione ha compiuto un percorso tra le bolge dei sei ospedali psichiatrici giudiziari d’Italia, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Un viaggio da cui è nato “Internauti”, agghiacciante reportage di denuncia sugli ex Opg che relegano negli scantinati della società gli indesiderati, rei di crimini per la maggior parte dei casi insignificanti, ben lontani dai clichè letterari e cinematografici del pazzo criminale. “Avevo sedici anni quando mi scontrai per la prima volta, a causa di un tragico episodio familiare, con la realtà terribile della malattia mentale” racconta Guardascione.

Ma nella sua mente agisce anche un’altra traccia: “negli anni Settanta uscì un libro fotografico, “Gli esclusi”, di uno dei miei fotografi preferiti, Luciano D’Alessandro, che aveva realizzato questo straordinario reportage nel manicomio di Nocera Inferiore. Un libro che aveva scosso un’opinione pubblica ignara, e che aveva dato un input fondamentale alla legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi”. Le due suggestioni portano Guardascione ad avviare nel 2008 il travagliato percorso per ottenere i permessi necessari a visitare e fotografare gli Opg, appendici scomode “dimenticate” dalla Legge 180. Tra reticenze e difficoltà, Guardascione riesce a portare a compimento il suo lavoro, cristallizzato in centinaia di scatti che oggi rivivono nella videoinstallazione “Gli Internauti”, realizzata grazie alla collaborazione con il fotografo Marco Dal Maso. Uno spazio cubico, di dimensioni limitate, che ricorda le celle dei vecchi manicomi, ospita la proiezione senza soluzione di continuità delle immagini che compongono il progetto, accompagnate da suoni grevi e invadenti che accompagnano e amplificano la visione, creando un senso di immedesimazione teso ed empatico con la drammatica realtà mostrata.

“Negli Opg mi sono trovato di fronte ad una realtà ben diversa da quella che immaginavo” racconta Guardascione a FQ Magazine. “Nella maggior parte dei casi non si trattava di criminali, ma di malati psichiatrici rei, ad esempio, di oltraggio a pubblico ufficiale, nei casi più gravi”. Internati a seguito dell’applicazione della legge 222 del codice penale che prevede, in caso di proscioglimento dell’imputato per infermità psichica, il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni. Salvo poi che quei due anni iniziali nella maggior parte dei casi si prorogano all’infinito trasformandosi in un vero e proprio ergastolo bianco.

“Mi sono avvicinato anzitutto alle loro storie” dice ancora Guardascione “senza conoscere le quali il mio lavoro sarebbe stato vuoto”. Storie di abbandoni, soprusi, maltrattamenti, e di metodi di “cura” medievali, inaccettabili in una società in cui la conoscenza delle patologie psichiatriche e le cure farmacologiche a disposizione sono dati acquisiti. “Posso permettermi di dirlo perché ci sono stato” dice Guardascione “nella maggior parte dei casi l’intervento del personale medico consiste nel sedare il paziente in caso di crisi e assicurarlo al letto di contenzione, dove rimane legato per giorni”. Metodi che spiegano la difficoltà incontrata dal fotografo nell’accesso alle strutture (“la responsabile del Ministero di Grazia e Giustizia si è fatta negare per settimane, poi si è dovuta arrendere alla mia insistenza”), e che rendono ancora più forte la sua urgenza di denuncia. Attualmente sono pronte solo due delle strutture che dovrebbero accogliere gli internati dopo la chiusura degli Opg, una in Toscana ed una in Sicilia, quest’ultima gestita da un sacerdote: spazi modesti (“poco più di case, dove già gli internati venivano ospitati nei periodi di vacanza-premio, svolgendo attività normali”).

Il resto è in alto mare, ciò a cui siamo ormai tristemente abituati: “per questo credo che sia il momento giusto per fare affiorare questa realtà di degradazione”, dice Guardascione: “non vorrei si arrivasse all’ennesimo, gattopardesco cambio di nome”. Per camuffare, in nome di una morale comoda e confortevole, dei luoghi in cui l’esclusione e la violenza dell’uomo sull’uomo toccano vertici abissali.

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