Sono due i simboli di quello che è successo in Scozia alle elezioni del 7 maggio. Da un lato Mhairi Black (a destra nella foto, insieme alla leader Nicola Sturgeon), la ventenne dello Scottish National party che è la più giovane deputata di Westminster dal 1667. Dall’altro Jim Murphy, il leader del Labour Party scozzese, che non è riuscito a mantenere il seggio di Renfrewshire East che deteneva da ben 20 anni. E’ stato battuto da una professionista delle risorse umane, in politica, sempre con lo SNP, da soli 11 mesi. I destini incrociati della giovane Black e del più stagionato Murphy raccontano l’ascesa irresistibile di una classe politica nuova, quella dei nazionalisti scozzesi; e il tramonto, che pare irreversibile, della vecchia classe dirigente laburista, che per anni ha avuto in Scozia un serbatoio straordinario di voti e personale politico.

Le mappe sui giornali mostrano in queste ore una Scozia quasi completamente gialla. Giallo è, per l’appunto, il colore dello Scottish National Party. Il partito guidato da Nicola Sturgeon ha conquistato 56 dei 59 seggi a disposizione e diventa, grazie anche a un sistema maggioritario che suscita sempre più critiche e polemiche, la terza forza per numero di seggi a Westminster. Un destino insolito, verrebbe da dire, per un partito che si è battuto per la separazione dal Regno Unito. In effetti, il contorno tinto completamente di giallo della Scozia, sulle mappe elettorali, lascia presagire soprattutto una cosa: e cioè che la Scozia, di fatto, si è già separata dal Regno Unito.

L’ascesa dello Scottish National Party non è stato il prodotto di una notte. Ci è voluto impegno, determinazione, e anche un referendum sull’indipendenza perso, sette mesi fa, che ha però contribuito a consolidare un sentimento di nazionalismo sempre più deciso e attivo. In sei mesi il numero di iscritti al partito è praticamente esploso: si è passati da 25 mila membri a 105 mila. L’azione sul territorio è diventata molto più radicata, invasiva. La campagna è stata capillare e ha portato a un risultato sorprendente se paragonato a quello di cinque anni fa, quando lo SNP vinse soltanto sei seggi, raccogliendo circa il 20% dei voti.

“Si tratta di una mutazione generazionale nella politica scozzese”, ha spiegato la leader dello Scottish, Nicola Sturgeon, facendo notare che “il Labour ha perso la fiducia degli scozzesi nell’arco di diversi anni”. “I laburisti ci hanno preso per il naso per troppo tempo”, ci dice David Armstrong, che ha fatto campagna per lo SNP nel suo distretto elettorale vicino a Glasgow e che oggi spiega che “anche se avessero vinto tutti i seggi scozzesi, i laburisti avrebbero comunque perso. E’ la loro identità di partito che non funziona più”, continua, indicando uno dei fatti più clamorosi di queste elezioni: la sconfitta del Labour nella costituency di Kirkcaldy e Cowdenbeath, che i laburisti hanno controllato per più di 80 anni e che è stato un vero e proprio feudo elettorale dell’ex-primo ministro Gordon Brown. “Se non sono capaci di tenere Kirkcaldy, dove pensano di andare?” conclude Armstrong.

Il trionfo dello Scottish National Party non è comunque soltanto una questione di revanscismo nazionalista. Adam Manor, un ragazzo di 31 anni incontrato accanto al Parlamento di Westminster poche ore prima della chiusura dei seggi, racconta che lui ha votato a Londra, ma che se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe scelto proprio lo SNP. “Sono l’unico partito apertamente di sinistra rimasto, insieme ai verdi – racconta Adam -. Se uno crede in una società meno aggressiva e soggetta alle esigenze del capitale, può tranquillamente votare lo Scottish”. In effetti, la campagna elettorale che Nicola Sturgeon e i suoi candidati hanno condotto, è stata proprio all’insegna di idee tradizionalmente socialdemocratiche e del rifiuto dell’austerità praticata dal governo britannico. Servizio sanitario nazionale, istruzione inferiore e università completamente gratuite, energie alternative, opposizione al programma nucleare britannico (con rimozione della flotta nucleare Trident dalle acque scozzesi) sono stati tra i punti qualificanti del manifesto elettorale dello SNP.

Nel suo discorso “della vittoria” davanti a Downing Street, David Cameron si è proposto come colui che vuole “unificare la Nazione”, ma al tempo stesso ha promesso più autonomia per la Scozia. “Il mio piano, per la Scozia, è creare un governo con straordinari poteri in materia di tasse e decentramento”. La dichiarazione del premier è un’ammissione, forzata, del terremoto politico scozzese, ma potrebbe arrivare troppo tardi. Nicola Sturgeon ha già fatto sapere che, se i conservatori proseguiranno nella loro politica di tagli alla spesa sociale, lo SNP si muoverà ancora una volta per chiedere un referendum sulla separazione dal Regno Unito. Le ambizioni indipendentiste non sono tramontate sette mesi fa.

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