Il 2016 sarà quasi certamente l’anno dell’Antropocene, ossia del riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale della nuova definizione dell’era geologica che stiamo vivendo. Un’era per la prima volta segnata e denominata in base alla presenza sulla terra di una specie. Noi, l’homo sapiens. E per la prima volta si tratterà di un’era di disastri innaturali.

crutzen_grQuando i disastri iniziarono, ecco, questo è il punto su cui gli studiosi non trovano l’accordo, e la data – certa o presunta – verrà fissata il prossimo anno. Secondo chi inventò la stessa parola “Antropocene”, e cioè il chimico olandese Paul Crutzen, la nuova era iniziò quando James Watt fece funzionare la sua macchina a vapore (1763-1775), dando così origine alla rivoluzione industriale. Per altri, la data è da portare decisamente più indietro, circa diecimila anni fa, al momento in cui l’uomo smise di essere cacciatore e raccoglitore, ed iniziò a dedicarsi all’agricoltura ed alla pastorizia, modificando in tal modo sensibilmente l’orbe terracqueo.

Jan Zalasiewicz, dell’Università di Leichester ed uno dei più accreditati studiosi di ere geologiche, ritiene di avere trovato il marcatore ideale anche per l’Antropocene nel 16 luglio 1945, alle ore 5 e 29 del mattino secondo il fuso orario del deserto del New Mexico. Questo è il momento in cui gli scienziati americani fecero esplodere la prima bomba atomica del mondo ed in cui l’orologio degli isotopi radioattivi creati dall’uomo iniziò a ticchettare. Questi isotopi continueranno a rinvenirsi in futuro e ricorderanno l’era in cui c’era l’uomo sulla terra. E insomma, sul quando l’Antropocene ebbe inizio il dibattito tra gli esperti è vivace e variegato. Comunque sia, la data indicherà un momento che se non ci fosse stato, la terra sarebbe stata meglio…

Come spesso chi ragiona sui tempi geologici, Zalasiewicz si è spinto ad immaginare anche la terra dopo di noi (The earth after us” è il titolo della sua pubblicazione), e cioè quando l’Antropocene terminerà. Secondo lui, fra 10.000 anni, le testimonianze di città, materie plastiche e milioni di miniere e pozzi di combustibili fossili persisteranno senz’altro sotto forma di quelli che egli chiama tecnofossili. Le concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera potrebbero essere ancora squilibrate a causa delle emissioni dovute a tutti i combustibili fossili bruciati anche solo negli ultimi decenni.

Nel giro di un milione di anni, salvo profondi cambiamenti, il clima dovrebbe essere tornato ai suoi ritmi naturali, ma le città sepolte nei sedimenti dall’innalzamento dei mari dovrebbero essere ancora conservate, insieme ai segni delle perturbazioni antropogeniche (anthroturbation), le alterazioni indotte dall’uomo nel sottosuolo, come il plutonio prodotto dalle esplosioni sotterranee di ordigni nucleari.

Queste resteranno per dieci milioni o addirittura cento milioni di anni, o fino a quando la tettonica a placche non riporterà tutto in superficie, esponendo quegli strati alla pioggia che, molto lentamente, porterà via quei segni. Di certo, in un lontano futuro nulla di quanto fatto dall’umanità contemporanea resterà in superficie; perfino i manufatti di pietra, come le piramidi o il Mount Rushmore, saranno spazzati via, anche se nelle rocce si potranno vedere delle belle impronte di oggetti di plastica, come un disco in vinile.

Ci sarà altra vita sulla terra? Potenzialmente, sempre Zalasiewicz indica i ratti come dominatori del mondo, altri studiosi le formiche. Sempre comunità comunque dotate di resistenza, intelligenza, strutture sociali complesse. Quello che un tempo distingueva anche l’homo sapiens.

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