Meno male che a fine mese ci sono le elezioni regionali. Sarà l’appuntamento con le urne a salvare le tasche gli italiani dall’aumento delle tasse che sarebbe la via più facile per risolvere l’impasse aperto dalla sentenza della Consulta resa nota la settimana scorsa, quella che ha bocciato lo stop alle rivalutazioni delle pensioni deciso nel 2011 dal tandem MontiFornero. “Considerato che siamo in campagna elettorale e che occorre sostenere la ripresa, credo che il governo eviterà di intervenire con provvedimenti drastici, cioè aumentando le imposte o tagliando ancora la spesa. Piuttosto, è probabile che i pensionati saranno rimborsati solo in parte“. A prevederlo è Alessio Terzi, economista del think tank Bruegel di Bruxelles, che in passato ha lavorato nella Commissione Ue scrivendo le stime sull’andamento delle economie dei 28 Paesi. Secondo Terzi, il premier Matteo Renzi risolverà il problema rimandandolo, almeno in parte: “Con tutta probabilità, solo quelli che ricevono assegni molto bassi si vedranno restituire quanto perso a causa del mancato adeguamento al costo della vita. In questo modo si rispetterebbe lo spirito della sentenza, secondo la quale la manovra Monti non ha rispettato il principio di progressività (quello in base al quale va colpito di più chi guadagna di più, ndr). Ma al tempo stesso si limiterebbe la ricaduta sul deficit nell’immediato”.

Che la strada individuata sia quella di rivalutare solo le pensioni più basse, mantenendo il blocco per gli assegni cosiddetti “d’oro”, sembra confermarlo il responsabile economico del Pd Filippo Taddei, che all’Ansa ha dichiarato: “La Consulta dice che la pensione è retribuzione differita: allora deve essere proporzionale ai contributi versati. Se è così, vanno riallineati i benefici pensionistici ai contributi effettivamente versati, mantenendo l’equità, quindi intervenendo solo su quelle più alte”. Non resta che sperare che questa scappatoia non apra la strada in futuro a nuovi ricorsi. Il governo può contare su un precedente: nel 2007 il governo Prodi eliminò la rivalutazione automatica dei trattamenti di importo otto volte superiore al trattamento minimo Inps e la norma fu considerata legittima dalla Corte perché non in contrasto con i principi di proporzionalità, solidarietà e adeguatezza.

“L’impatto non si limita a un aumento dei deficit registrati nel 2012 e 2013. Anzi, sarà ancora più pesante sui conti del 2014 e di quest’anno”

L’alternativa, d’altro canto, è ancora peggiore: secondo Terzi rifondere a tutti i pensionati coinvolti le perdite subite in seguito al blocco – da un minimo di 4.800 a oltre 10mila euro nel quadriennio 2012-2015 – costerebbe ben più dei 5 miliardi stimati dall’Avvocatura dello Stato. “L’impatto non si limita affatto, come ha sostenuto qualcuno, a un aumento dei deficit registrati nel 2012 e 2013. Ci sarà infatti un “effetto a cascata” anche sugli anni seguenti, perché a partire dal 2014 l’adeguamento all’inflazione dovrà essere riconosciuto sugli assegni rivalutati in seguito alla sentenza”. Risultato: la cifra finale da trovare si aggirerebbe intorno ai 9 miliardi, tenendo conto anche di quello che rientrerebbe sotto forma di maggiore Irpef pagata dai pensionati. Somme che richiederebbero una mini manovra per correggere i conti pubblici.

Infatti il deficit dell’Italia nel 2014 si è attestato al 3% del prodotto interno lordo, il massimo consentito da Bruxelles. Mentre quest’anno, secondo le stime di gennaio della Commissione, si fermerà al 2,6%. Ma lo stop alla norma del Salva Italia cambia tutto. “Siamo al limite della procedura di infrazione“, spiega Terzi. Cioè la “punizione” che Bruxelles può infliggere agli Stati che non rispettano i patti, e che comporta il pagamento di una multa a meno che non si adottino “misure correttive”: fondamentalmente un aumento delle tasse. Per questo Renzi e il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan con tutta probabilità sceglieranno la strada di un adeguamento solo parziale alla sentenza della Corte. E nel frattempo tratteranno con Bruxelles per ottenere di poter aumentare un po’ l’indebitamento programmatico rispetto al 2,6% concordato.

Fonti Ue: “Se cambiano gli obiettivi di bilancio del Def serviranno compensazioni”

I primi commenti che filtrano dalla Commissione sono attendisti: “Qualsiasi cosa cambi gli obiettivi di bilancio del documento di programmazione finanziaria” dell’Italia “deve essere compensato”, ma “aspettiamo di vedere come il governo applicherà la sentenza”. Nelle previsioni macroeconomiche di primavera che l’esecutivo Ue renderà note martedì, e di cui lunedì sono state diffuse anticipazioni, l’effetto della sentenza sui conti pubblici non viene preso in considerazione visto che le conseguenze non sono state quantificate ufficialmente. Dunque il deficit è dato ancora al 2,6% del pil quest’anno e in calo al 2% il prossimo. Mentre il rapporto debito/pil è visto ancora in salita quest’anno, fino a toccare il 133,3% del prodotto, ma in discesa fino al 130,8% del pil nel 2016. Quanto al tasso di disoccupazione, l’anno prossimo i tecnici Ue si attendono che resti invariato al 12,4%, contro il 12,6% delle previsioni d’inverno.

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