316722_2196485764515_1979467902_nCi siamo fatti una bella chiacchierata sullo stato di salute della musica italiana con uno dei maggiori produttori del momento: Rosario Castagnola in arte D-Ross. Napoletano classe 1977 D-Ross ha vinto il David di Donatello 2014, per aver scritto insieme a Nelson, Sarah Tartuffo e Franco Ricciardi, ‘A Verità, canzone originale tratta dalla colonna sonora del film: Song ‘e Napule dei Manetti Bros. Un produttore eclettico capace di passare dall’hip hop al rock, passando dalla dance, alla musica d’autore. Non c’è disco hip hop che si rispetti, che non abbia al suo interno almeno una sua produzione. Ha prodotto basi per Clementino, Raiz, Franco Ricciardi, Marracash, Emis Killa, Ivan Granatino, Lucariello, Luchè e l’ultimo disco di Fibra addirittura contiene sette sue produzioni tra cui singolo, Il Rap nel mio paese, nel cui video compare lo stesso D-Ross, che ha ripreso il tema musicale di Pinocchio del grande Fiorenzo Carpi.

Sei un produttore molto versatile. Qual è il tuo segreto?
Nessuno, la mia è soltanto curiosità.

Come lavori su ogni singolo artista?
Cerco sempre di capire qual è il suo mondo, il suo posizionamento sul mercato e di comprendere il suo messaggio.

Spesso chi produce basi hip hop non suona nessuno strumento, nel tuo caso quanto è stato importante il fatto di venire dalla musica suonata?
Per me è molto divertente e stimolante, perché si lavora togliendo e non aggiungendo. Molti musicisti sottovalutano questo tipo di sottrazione e spesso inciampano, perché hanno paura di essere troppo banali, ma a quel punto subentrano gli ascolti.

Sembra che a Napoli ormai nascano più rapper che neomelodici, e spesso questi due mondi si (con)fondono. Dove sta andando la musica napoletana?
Sarebbe più corretto dire dove stanno andando i napoletani e l’Italia. In generale l’ignoranza e la superficialità dilagano. La colpa non è dei neomelodici o dei rapper di basso profilo ma è delle persone che glorificano un certo tipo di prodotto scadente, mentre quelli ‘colti’, che dovrebbero sostenere la musica ‘buona’, spesso non lo fanno. Troppe persone legate al proprio ego e molte persone sbagliate nei posti di comando. Oggi tutti vogliono apparire. Il problema è culturale, ed è mondiale.

Oggi i giovani rappers si producono, da soli, a casa la loro musica per poi pubblicarla in rete. Se da una parte questo ha dato la possibilità a tutti di esprimersi, dall’altra parte ha abbassato la qualità del suono e delle produzioni. Qual è il futuro del rap in Italia?
Non vedo molta differenza tra i rapper che si producono da soli a casa e noi, che all’epoca facevamo delle demo di scarsa qualità. Il futuro del rap dipenderà dai loro rappresentanti, se sapranno crescere insieme a coloro che li sostengono rimarranno, altrimenti caduti i capelli dovranno impiegarsi. Ma questo vale per tutti i generi musicali.

Hai prodotto brani per i più grandi rappers italiani, chi ti piacerebbe produrre?
Con quelli coraggiosi e che si mettono in discussione.

Quali sono gli ingredienti di una hit di successo?
O una grandissima personalità o l’esatto opposto: una grandissima banalità. Il tutto condito con una gran dose di fortuna e sopratutto una grande credibilità.

Ci sono artisti che fanno un disco all’anno, un featuring al mese e un video alla settimana. È evidente la paura di scomparire, ma assecondare questi ritmi dove ci sta portando?
I ritmi veloci di questo periodo storico impongono queste regole e l’ hip hop sposa in pieno questa velocità.

Oggi tutto ruota intorno alla fanbase e alle visualizzazioni. La ‘musica’ sembra non essere più il fine, ma un mezzo, ma se i dischi non si vendono più, se si suona sempre di meno e i grandi network radiotelevisivi passano sempre meno musica italiana e mai quella emergente, cosa ancora può fare la differenza?
La differenza la fanno sempre e solo le canzoni, il resto è solo marketing.

Ormai le major investono solo su nomi diventati fenomeni in rete, basti pensare a Fedez e Rocco Hunt, o che escono dai talent. Cosa consiglieresti a un ragazzo che sta iniziando?
Oggi il sistema è totalmente cambiato, non è detto che ci sia bisogno di una major, anzi a volte meglio non averla. Oggi basta avere seguito ed una forte fanbase. Le major arrivano dopo quando tutto il lavoro è già fatto. Per chi ha deciso di dare priorità all’arte il mio consiglio è quello di seguire la propria vena artistica. Chi invece vuole seguire la strada della popolarità deve rispettare le rigide regole che il mercato impone senza lamentarsi dei probabili insuccessi. Nessun medico ci ha mai ordinato di fare gli artisti a tutti i costi.

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