RUN ALL NIGHT di  Jaume Collet-Serra – Usa 2015, dur. 114 – Con Liam Neeson, Ed Harris

Si corre, si spara, si scappa, si uccide senza (quasi) mai fermarsi per un’intera nottata tra le strade e i palazzoni popolari di New York in Run All Night, thriller cinicamente fisico e umanamente spietato, in cui un anziano sicario irlandese per difendere il figlio ingiustamente accusato dell’omicidio di un ragazzo malavitoso finisce con lo scontrarsi con il suo boss e amico fraterno, nonché padre del morto che guarda caso ha ucciso lui. Lo script sfiora soltanto gli archetipi del gangster movie senza peccare di credibilità, evitando femme fatales e poliziotti risolutori, poi si concentra nella costruzione dell’azione e del conflitto tra le due frange di “cattivi”. Collet-Serra eccede spettacolarmente in punti macchina (almeno sette otto per ogni sequenza, anche nei campi e controcampi in auto) e accelera al montaggio (dove c’è il veterano Craig McKay) per dare un ritmo vertiginoso anche quando, e sono pochi i momenti, ci sarebbe narrativamente calma piatta. Curioso che in un film dove si gira per il 95% di notte, coefficiente di difficoltà fotografico alto, le uniche scene cromaticamente insignificanti siano quelle dell’alba sul finale. 3/5

LE STREGHE SON TORNATE di Alex De La Iglesia – Spagna 2013, dur. 109 – Con Carolina Bang, Carmen Maura

Se c’è un pregio del ritrovato Alex De La Iglesia è che fa sempre cocciutamente e felicemente un inqualificabile cinema che pare a lui, grazie al continuo ipertrofico inserimento di tutte le sue idiosincrasie visive e deliri orrorifico-sessuali. Anche se la bizzarra storiella su un gruppo di rapinatori in fuga rimasti intrappolati nelle grinfie di una famiglia di streghe nel vero paesino di Zugarramurdi, non è il miglior risultato di una lunga carriera, De La Iglesia mescola le tonalità dello humor nero e del realismo fantastico per raccontare uno scontro tra sessi, chiaramente perso in partenza dall’uomo. Tra megere che saltano sui muri come spider (wo)man, giovani allupate di sangue di rospo e di sesso, e ragazzotti imbranati guidati dal basso ventre,  Le streghe son tornate è sì opera minore di un corpus oramai robusto, ma anche un gioco di ruolo e di genere dentro ad un cinema totale che si erge sicuro e mai copia d’altri, dando infinita attenzione ai mille dettagli materici di messa in scena direttamente sul set. La forza iperrealista della sequenza iniziale della rapina, con quel contrasto cromatico tra folla giallo-arancione e la colorazione marcata dei corpi/maschera dei rapinatori, sembra una di quelle processioni grandguignolesche da Semana Santa. Impossibile non divertirsi o almeno apprezzare lo sforzo creativo. Di quel genere di film che spesso si dice “non se ne fanno in Italia”. 3/5

RITORNO AL MARIGOLD HOTEL di John Madden – Usa 2015, dur. 122 – Con Richard Gere, Judi Dench

Le esotiche panoramiche sull’India con motorette, petali e veli di seta; un gruppuscolo di agiati signori britannici che stazionano in una topaia qualificata come hotel e che si punzecchiano come ai giardinetti; la buffa presenza slapstick del giovane Dev Patel di The Millionaire. Il Ritorno al Marigold Hotel inizia e finisce qui: nella descrizione dei tratti esteriori del racconto, dal momento che la storia da raccontare è giusto un pretesto per allungare la simpatia delle star e lo sfondo cartolinesco del primo episodio. La trama vuole il proprietario del Marigold in California per chiedere soldi ad una catena alberghiera in vista di un’ulteriore locanda da costruire a fianco del rudere principale. Quello che viene dopo è il prolungamento della quotidianità al Marigold, come se fossero stati ritrovati alcuni fogli di script stralciati dal film del 2011. Il fatto che all’hotel arrivi Richard Gere e che Patel lo scambi per l’ispettore della catena non è nemmeno più spoiler, visto l’esangue slancio che la narrazione tenta di prendere ogni volta che si esaurisce una scenetta tra gli old funny guys, colonialmente appollaiati sul trespolo indiano, e ne inizia un’altra. Regia alimentare di Madden. Con finale danzato alla Bollywood. Letale. 1/5

CHILD 44 di Daniel Espinosa – Usa 2015, dur. 130 – Con Tom Hardy, Noomi Rapace

Qualcuno dovrebbe chiedere a Daniel Espinosa, e allo sceneggiatore Richard Price, che film volevano fare quando hanno messo insieme script e regia di Child 44: uno sgangherato e urlato thrilleraccio basato sulla storia del cattivissimo agente dell’MGB Leo Demidov e signora, entrambi imbrigliati tra i giochi di potere degli sgherri staliniani anni ’50 e l’uccisione di bambini modello mostro di Rostov (fatto accaduto però 30 anni dopo). Evocate determinate suggestioni storiche attraverso scenografie e oggetti d’epoca, il set diventa una patina fasulla a cui appiccicare la movimentazione di attori (tutti identici nel loro esasperante overacting) e un commento sonoro di note basse e ottoni per scene madri che sbucano ininterrottamente come funghi. Il punto è: o Child 44 voleva essere il pilota di una serie tv (non si spiegherebbero altrimenti decine, sul serio decine, di sottotrame non sviluppate) oppure siamo di fronte ad uno dei più ridicoli esempi di farraginosità e inconcludenza tra scrittura e regia cinematografica dell’ultimo decennio. Apice del misunderstanding è il protagonista Tom Hardy che in una zuffa nel fango assieme alla moglie ammazza l’ufficiale traditore, e lo spettatore per diversi minuti non comprende chi stia picchiando chi. 1/5

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