Nella proposta del governo sulla riforma della Rai, c’è l’ipotesi di equiparare gli indici di affollamento pubblicitario della Rai a quelli delle televisioni commerciali. In tal modo si accomuna la Rai con la tv commerciale con l’obiettivo, sottinteso, di abolire il canone di abbonamento.

Gli indici di affollamento pubblicitario sono stati introdotti con la nascita delle tv commerciali, al fine di “proteggere” la carta stampata dallo strapotere, dal punto di vista pubblicitario, della televisione.

Le tv commerciali nazionali sono vincolate all’affollamento orario (la pubblicità non può superare il 18% dell’ora, circa 11 minuti) e a quello giornaliero (il 15%, pari a 216 minuti al giorno per rete). La Rai è vincolata all’affollamento orario (il 12%, circa 7 minuti) e a quello settimanale (il 4%, pari a 58 minuti al giorno per rete). Si ricordi che l’analisi è limitata alla sola pubblicità tabellare (i classici spot), che equivale al 90-80% del fatturato complessivo (le altre tipologie sono le telepromozioni, le televendite).

Vediamo cosa succederebbe se la Rai avesse lo stesso affollamento di Mediaset, prendendo a riferimento i dati del fatturato pubblicitario dell’Autorità per le Comunicazioni. Se le due aziende avessero le stesse potenzialità, acquisirebbero, in via del tutto ipotetica, la metà della somma del loro fatturato, cioè 549 milioni in più per Rai e altrettanto in meno per Mediaset. In questo caso il canone unitario potrebbe abbassarsi da 113,5€ a circa 76€ per mantenere lo stesso ammontare di risorse della Rai.

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È un’ipotesi ovviamente del tutto irrealistica, perché ipotizza spostamenti della pubblicità che è impossibile possano verificarsi, poiché ciascun mezzo è diverso dagli altri.

Va anche rilevato che gli ascolti della Rai risentirebbero in negativo del maggior affollamento: sebbene sia alta l’assuefazione agli spot, sicuramente vi sarebbero tanti fans del servizio pubblico che non sopporterebbero il maggiore affollamento. E molti di più sarebbero quelli che fuggirebbero dalla Rai non sopportando la sua definitiva omologazione con le tv commerciali.

Un dato rilevante consiste inoltre nel fatto che le due imprese hanno pubblici diversi. Rai, come noto, ha un pubblico composto prevalentemente da anziani, le reti Mediaset (ad esclusione di Rete4) hanno invece la prevalenza sul target commercialmente più pregiato, composto da persone di 25-54 anni. Sul target “universo”, la Rai ha il 38% e Mediaset il 33% degli ascolti; sul target “25-54anni”, la Rai ha il 33% e Mediaset il 37%. Mentre gli ascoltatori della Rai sono quindi in prevalenza i pensionati, quelli di Mediaset sono le giovani famiglie: una differenza notevole per gli inserzionisti pubblicitari.

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Considerando queste variabili, il vantaggio per Rai dell’innalzamento dell’affollamento pubblicitario sarebbe molto più limitato, quantificabile, con una valutazione di larga massima, in circa 150 milioni. L’obiettivo dell’azzeramento del canone sarebbe quindi fallito (mentre permarrebbe un danno rilevante per Mediaset).

Insomma, una Rai commerciale finanziata anche dal canone creerebbe solo danni al sistema pubblicitario.

Non va dimenticata infine una questione “etica” e giuridica che affossa del tutto il progetto: se la Rai venisse, di fatto, privatizzata, sarebbe illegittimo che fosse finanziata anche dal canone.

La proposta del governo sembra così astrusa che sorge il sospetto che sia una sorta di merce di scambio nell’agone della politica.

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