“La verità è che le nostre società non sono semplicemente ingiuste: sono spaventosamente inefficaci nelle misura in cui disperdono le nostre potenzialità di produrre vera ricchezza”. È riassunto in queste tre righe il giudizio di Yanis Varoufakis sul sistema di mercato basato su debito e su guadagno, pilastro di tutte le economie occidentali. L’ultimo libro del ministro delle Finanze del governo TsiprasÈ l’economia che cambia il mondo (Rizzoli), esce in Italia nei giorni più difficili per Atene – senza soldi in cassa e lontana da un accordo con i creditori – e per lui stesso, definito “perditempo” e “irresponsabile” dai colleghi dell’Eurogruppo esasperati da negoziati di cui non si vede la fine. E, con la Grecia che rischia concretamente il default, viene naturale soffermarsi sul sottotitolo: Quando la disuguaglianza mette a rischio il nostro futuro.

A minacciare lo sviluppo, il benessere e l’esistenza stessa del pianeta (“sull’orlo della catastrofe ecologica”), spiega l’economista marxista in questa “lettera” alla figlia adolescente della compagna, è appunto la disuguaglianza. Di cui Varoufakis delinea le origini in un lungo excursus che prende le mosse dalla scoperta dell’agricoltura, il “salto” grazie al quale l’uomo ha potuto iniziare ad accumulare surplus produttivo. Surplus che va registrato (è così che nasce la scrittura) e che fa sorgere la necessità della moneta, di uno Stato che ne garantisca il valore, del debito, della burocrazia e di un clero che legittimi la distribuzione iniqua di quella prima ricchezza. Poi è la volta della rivoluzione industriale, che non fa che aumentare la concentrazione di potere e denaro in poche mani. Per illustrare il valore di scambio del denaro e l’inflazione si salta invece alla Seconda guerra mondiale, quando nei campi di prigionia “quanto più rare erano le sigarette in relazione agli altri beni, tanto maggiore era il loro valore di scambio e quindi gli acquisti che consentivano di fare”. E dopo una notte di bombardamenti, durante la quale i prigionieri angosciati fumavano più del solito, “il loro valore di scambio arrivava alle stelle”: le bombe, facendone diminuire la quantità, “avevano creato in una sola notte la deflazione”.

Fin qui la storia. Poi c’è la narrazione che mira a dimostrare che “noi umani ci siamo ridotti a essere servi, anzi schiavi, di mercati impersonali e disumani”. L’uomo che ha preso le redini del ministero delle Finanze convinto di poter ottenere un forte taglio del debito contratto dal Paese – richiesta mai presa in considerazione da parte della ex troika – a questo punto si fa aiutare da ampie citazioni cinematografiche e letterarie. Dal Frankenstein di Mary Shelley, “allegoria della tendenza delle società di mercato a utilizzare la tecnologia per renderci schiavi”, all’Iliade, fino all’amato Matrix dei fratelli Wachowski, “l’evoluzione estrema di ciò che pensava il più conosciuto rivoluzionario del XIX secolo, Karl Marx”. Ma c’è spazio anche per Tempi moderni, Blade Runner e Terminator. Tutti esempi che servono per spiegare all’adolescente Esmeralda perché “il debito privato porta al crac e alla crisi“, quello pubblico “stabilizza le società di mercato e assicura ai potenti la possibilità di rimanere tali”, “le banche sono parassitarie per antonomasia mentre lo Stato ha il ruolo indispensabile di stabilizzatore“. E perché, a livello micro, “tutto il giorno ci affanniamo per ottenere cose che in realtà neanche vogliamo e di cui non abbiamo bisogno, solo perché la Matrix del marketing e della pubblicità è riuscita a proiettarle nelle nostre teste”.

Il messaggio finale del ministro è un invito a rifiutare “la menzogna e l’inganno in cui vivono tutti coloro che credono a quel che dicono i manuali degli economisti, gli analisti “seri”, la Commissione europea, i pubblicitari di successo” e preferire “una vita difficile e pericolosa”, basata sulla convinzione che “la distribuzione della ricchezza che abbiamo sotto gli occhi non è logica e naturale e giusta, specialmente se ci favorisce”. Fin qui la teoria, le “lezioni” che, stando a quanto riferito dalle agenzie di stampa, Varoufakis tenta di somministrare ai colleghi dell’Eurogruppo. I quali, però, pretendono fatti.

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