Anche i precari hanno diritto agli scatti di anzianità. Anche se hanno trascorso un’intera carriera da supplenti, e sono ormai in pensione. Lo ha stabilito il Tribunale del Lavoro di Roma, che ha accolto il ricorso di una docente: adesso il Ministero dovrà riconoscerle tutte le differenze non pagate, con tanto di interessi e spese legali.

Protagonista della vicenda un’insegnante romana, che ha lavorato quasi ininterrottamente per oltre quarant’anni nella scuola pubblica senza mai riuscire ad entrare in ruolo, anche per aver dedicato la maggior parte della sua carriera ad insegnare l’italiano all’estero. Il suo primo incarico risale al 1968, nel 2011 ha deciso di ritirarsi. Ritrovandosi però con una pensione irrisoria, calcolata su uno stipendio fermo al contratto base di ingresso nel mondo del lavoro (circa 1.300 euro al mese), visto che il sistema vigente non riconosce ai supplenti l’avanzamento di carriera. Per questo ha deciso di fare ricorso, chiedendo di avere ciò che non le era mai stato dato. E il giudice del Lavoro di Roma le ha dato ragione.

“C’erano già stati dei pronunciamenti sugli scatti di anzianità, ma mai per docenti andati in pensione. È una sentenza storica”, spiega Salvatore Russo, l’avvocato che ha curato il ricorso. Ancora una volta a dare torto allo Stato italiano e a sostenere i precari della scuola sono le direttive comunitarie, che impongono piena parità di trattamento fra lavoratori a tempo determinato e indeterminato anche per quanto riguarda le condizioni di impiego e la retribuzione. Le stesse normative che lo scorso autunno avevano condannato l’Italia per l’abuso di contratti temporanei, spingendo il governo alla stabilizzazione dei 100mila docenti prevista dalla riforma della scuola.

Adesso la docente aspetta di ricevere i soldi arretrati che le spettano. Toccherà agli enti territoriali (in particolare all’Ufficio scolastico regionale del Lazio) fare i calcoli. I legali avevano quantificato la differenza degli oltre 40 anni di carriera in circa 20mila euro complessivi. Anche se non tutti gli scatti potrebbero essere conteggiati, visto che di solito sui crediti con l’amministrazione pubblica scatta la prescrizione dopo dieci anni. “Ma è il principio generale ad essere affermato, è questa la grande vittoria”, prosegue l’avvocato Russo. “Il dispositivo comunque stabilisce il riconoscimento della progressione di carriera, senza parlare di cifre e neppure di prescrizione. Vedremo cosa proporrà l’Usr”.

La sentenza rappresenta un precedente giurisprudenziale importante, considerando che negli ultimi 15 anni sono stati assegnati circa un milione e mezzo di contratti di supplenze di vario tipo. E che il sistema vigente non riconosce alcun aumento retributivo ai precari, solo una (parziale) ricostruzione di carriera al momento dell’assunzione. Soddisfazione anche da parte di Marcello Pacifico, leader del sindacato Anief che ha promosso l’azione legale. “È la conferma di quello che sosteniamo da anni: ritenere che i precari non maturino esperienza e non abbiano diritti come gli altri è pura discriminazione. La dignità e la qualità del lavoro non dipendono dal tipo di contratto”. “Il governo – conclude il sindacalista – nel ddl di riforma ha istituito anche un fondo di risarcimento per i docenti. Farà meglio a incrementarlo, ci saranno presto altri contenziosi”.

Twitter: @lVendemiale

Articolo Precedente

25 aprile, le generazioni perdute e il fallimento dell’istruzione

next
Articolo Successivo

Test Invalsi a rischio per sciopero. Presidi: “Precettiamo”. Ira dei sindacati

next