Ottanta immagini per non dimenticare. L’archivio storico dell’Università di Bologna fino al 30 aprile rende disponibili al pubblico gli scatti dell’ufficiale tedesco Armin T.Wegner che con le sue foto denunciò il genocidio del popolo armeno. La mostra allestita nelle stanze del dipartimento di Storia Culture e Civiltà vuole raccontare la strage perpetrata cento anni fa, nel 1915, dal governo dei Giovani turchi, costata la vita a più di un milione e mezzo di persone. Un allestimento realizzato in collaborazione con Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica d’Armenia.

In tutto sono 24 i pannelli composti da scatti e testi. Carte geografiche e schede storiche, documentano l’impegno di Armin T. Wegner nella difesa dei diritti civili, il suo sforzo nel voler far conoscere al mondo intero quanto era accaduto nei deserti dell’Anatolia. La testimonianza anche del suo tentativo di fermare Hitler messo nero su bianco in una “lettera-appello” indirizzata nel 1933 al cancelliere tedesco per fermare i primi pogrom antiebraici del regime. Wegner, immortalò gli armeni nel deserto di Der es Zor, diventando così suo malgrado, voce di tutti i deportati della terra.

Quello degli armeni è stato il primo genocidio del XXesimo secolo nel significato dato dalla “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”approvata dall’Assemblea dell’Onu il 9 dicembre del 1948: “Eliminazione fisica di un popolo e della sua cultura“. Ufficialmente riconosciuto dal Tribunale Permanente dei Popoli il 16 aprile del 1984, dalla Commissione dell’ONU per i Diritti dell’Uomo il 29 agosto 1985 e il 18 giugno del 1987 dal Parlamento Europeo.

Le testimonianze restano l’unica traccia di quanto è stato perpetrato. Lo stesso console onorario d’Armenia racconta di se stesso:”A partire dagli anni novanta, ho avviato la mia ricerca dei giusti di tutte le nazionalità, che all’epoca avevano salvato gli armeni, testimoniato, documentato il genocidio e ho tributato loro onori, prima nelle patrie di appartenenza e poi in Armenia”.

Pietro Kuciukian ha raccontato la storia del padre, giunto a Venezia nel 1915, imbarcato dal nonno su una nave in partenza dal Bosforo, per salvarlo dal genocidio. ” Non parlava mai di ciò che era avvenuto in Turchia, sia per non farci crescere con sentimenti negativi, sia per la volontà di dimenticare. Tuttavia prima di morire ho ritrovato nel suo diario un episodio riguardante la famiglia, movente di fondo della mia ricerca del bene al tempo del male”.

Nel 1895 a Costantinopoli, dove vivevano i suoi nonni, il sultano Abdul Hamid scatenò un pogrom contro gli armeni. La famiglia, nascosta nella cantina di casa per dieci giorni si è salvata perché un turco amico, respingeva gli assalitori dicendo che nell’edificio non c’erano armeni. “Un turco buono che non ha tradito l’amicizia e la relazione di buon vicinato” afferma poi concludendo: “Sono diventato viandante nella terra dei padri e degli esuli con uno spirito diverso. Sono andato a vedere a Istanbul la casa di famiglia, ma non ho avuto il desiderio di entrare. Il mio sguardo era libero, guardavo avanti, sapevo come utilizzare le mie energie”.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

*Nella foto: ritratto della famiglia Keusseyan- Kuciukian

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