Tempi biblici, percorsi disegnati tra la fine dell’Ottocento e il regime fascista, e solo un treno ogni tre che arriva in orario a destinazione. Descritto da sempre come una roba da terzo mondo, battuto fino agli anni Novanta dalle vecchie littorine diesel, oggi prendere il treno in Sicilia si candida ad essere l’alternativa ai collegamenti stradali. Il crollo del viadotto Himera sull’autostrada Palermo-Catania ha allungato di un’ora e mezza i collegamenti tra le due principali città siciliane, la drammatica situazione delle strade statali e provinciali ha fatto il resto: è per questo motivo che adesso l’assessorato regionale alle Infrastrutture tenta di cogliere la balla al balzo per portare nel ventesimo secolo la rete ferroviaria siciliana, spingendo sul nuovo accordo di servizio da 111 milioni di euro. Un piano al quale la Regione e le Ferrovie stanno dedicando lavoro e risorse, e che secondo i due enti dovrebbe davvero cambiare il volto dei treni in Sicilia: solo che prima c’è da coprire un gap lungo un secolo, e forse anche di più.

Dalle solfatare alle dismissioni: oggi ci sono 397 treni al giorno (In Lombardia 2.300)
Se il regno delle due Sicilie poteva vantarsi del primo percorso ferroviario dello Stivale, con la linea Napoli-Portici nata nel 1839, sotto i Borbone l’isola non ha più visto locomotive sul suo territorio. Bisognerà aspettare i Savoia e gli imprenditori dello zolfo, che spesso finanziavano le prime tratte ferroviarie per collegare le miniere al centro della Sicilia con i principali porti dell’isola: quindi arrivò il regime fascista ad investire sul trasporto ferroviario. Poi il nulla, anzi qualcosa di meno, dato che dal secondo dopoguerra in poi andarono in scena una serie di dismissioni, dovute al fatto che i costi di alcune linee interne non erano più convenienti. “In Sicilia abbiamo preferito investire sul trasporto su gomma”, era la giustificazione fornita da un qualsiasi esponente politico negli ultimi 60 anni. Il risultato è che oggi sull’isola circolano ogni giorno 397 treni su 1.378 chilometri di linea ferrata in una regione che è considerata la più estesa d’Italia: solo per fare un paragone, in Lombardia ogni giorno si muovono 2.300 convogli. In più c’è la questione legata alle linee: i binari non sono mai stati ammodernati. Ed è per questo motivo che oggi qualsiasi piano di rilancio è destinato ad infrangersi su quelle rotaie nate negli anni ’30. “Dal 2010 si parla del famoso progetto Frecciarossa: 30 milioni di euro per ammodernare la linea Palermo-Catania, e portare la percorrenza a 2 ore e 25 minuti. Ma niente di tutto questo è avvenuto”, dice Giosuè Malaponti del coordinamento pendolari siciliani.

Palermo-Catania, 4 ore e tre soste (non dovute)
Ed è proprio la linea Palermo-Catania quella su cui puntano Regione e Ferrovie dopo che il crollo del viadotto autostradale ha spezzato in due l’isola. Pochi giorni dopo l’interruzione dell’autostrada, Trenitalia annunciava trionfalmente l’arrivo di due nuovi treni per collegare le città. “Il provvedimento anticipa di qualche settimana un più consistente potenziamento dei collegamenti tra i due capoluoghi che, previsto per dicembre, sarà invece avviato entro la fine di aprile”, spiegavano da Trenitalia, aggiungendo poi che “dal capoluogo alla città etnea bastano 2 ore e 59 minuti e viceversa 3 ore e 9 minuti: al costo di 12 euro e 50 centesimi”. I due nuovi treni, in pratica, si candidano a battere tutti i record di percorrenza su quella tratta, dato che secondo il portale di Trenitalia, per raggiungere Catania da Palermo occorrono da un minimo di 3 ore e 18 minuti a un massimo di ben 5 ore e 58 minuti. Solo che sul sito di Trenitalia le due nuove corse non sono ancora acquistabili online e in più i due nuovi treni partono alle 5 e 28 da Catania, e alle 17 e 29 da Palermo: una tratta studiata probabilmente per i pendolari che viaggiano ogni giorno dalla città etnea al capoluogo (sicuramente i più numerosi).

Per fare il percorso inverso, e cioè partire da Palermo, arrivare a Catania e tornare in un’unica giornata non rimane che prendere il regionale veloce delle ore 6 e 33 al costo di 12 euro e 50, per poi fare il tragitto inverso alle 15 e 22. Le due principali città sono distanti circa 200 chilometri: prima del crollo del pilone dell’autostrada si raggiungevano agilmente in due ore. Adesso il regionale veloce delle 6 e 33 promette di farcela in 3 ore e 18 minuti: l’arrivo a Catania è dunque previsto per le 9 e 51. Il convoglio è nuovo: sedili puliti, bagni in ordine, persino le prese di corrente per ricaricare i cellulari, confort diffuso nel resto d’Italia, ma praticamente sconosciuto per i pendolari siciliani. La partenza è in orario, il treno viaggia fino a raggiungere i 120 chilometri orari: fino alla prima tappa, e cioè Termini Imerese, fila tutto liscio. Poi ad un certo punto il treno si ferma: fuori c’è una stazione, il cartellone recita “Montemaggiore Belsito”, ma non è una fermata prevista. “Che succede?” chiediamo al capotreno. “Nulla, un guasto”, spiega lui senza fornire ulteriori particolari. I minuti passano: prima dieci, poi venti, quindi quasi mezz’ora di blocco. Un treno incrocia il binario opposto: si riparte. Ancora qualche chilometro, la velocità è sostenuta, al massimo 70 chilometri orari, colpa probabilmente della qualità delle rotaie che non permette medie maggiori: fuori ci sono praterie verdi che presto si tingeranno di giallo e marrone, il mare è scomparso da tempo, segno che abbiamo abbandonato la litoranea e siamo nel cuore dell’isola. Ed è a questo punto che arriva un nuovo stop non previsto: Marianopoli, stazione deserta di un paesino di mille abitanti.“Niente di grave, tra poco ripartiamo”, dice rassicurante il capotreno. Qualche minuto di pausa, il tempo di fumare una sigaretta. “Io ho udienza al tribunale di Caltanissetta, speriamo di farcela” si lamenta un avvocato pendolare, partito da Cefalù. Il treno riparte a velocità sostenuta, poi prova ad accelerare, quindi ecco la stazione di Caltanissetta Xirbi: sono quasi le 9, dovevamo arrivare alle 8 e 20. Molti viaggiatori scendono al volo, sul treno sale una scolaresca, il capotreno annuncia che per chi ha perso la coincidenza è pronto un autobus. Si riparte, passano le stazioni, la minuscola Villarosa, immersa tra l’erba gialla e i tulipani, poi c’è Enna, fuori i binari attraversano le colline e i campi agricoli, quindi un nuovo stop, stavolta in mezzo al nulla: “Che succede?”. Solita risposta: “Niente, un piccolo problema, ripartiamo subito”. Dal finestrino si scorge una vecchia stazione, risale al 1870, sull’edificio tracciata con la vernice blu c’è la scritta “Gerbini K213”. Cercare notizie su internet è impossibile, dato che non c’è linea: il tempo di un’altra sigaretta e si riparte. Alla fine ecco Catania centrale: arriviamo alle 10 e 30, 39 minuti di ritardo. “Ci scusiamo per l’inconveniente”, gracchia l’altoparlante del treno. Magra consolazione: le 3 ore e 18 preventivate, si sono trasformate in quasi quattro.

Il resto dei treni: due su tre sono in ritardo, per Ragusa ci vogliono 7 ore
E se dalla Regione alle Ferrovie promettono a brevissimo di ammodernare la linea Palermo-Catania, azzerando gli inconvenienti, imponente sarà il lavoro di restyling delle altre tratte. Basta una rapida ricerca sul sito di Trenitalia, per capirlo. Per coprire i 107 chilometri che dividono Palermo e Trapani, s’impiegano 3 ore e 44 minuti (costo 10,40 euro), ma il tempo di percorrenza si abbassa a 3 ore e 4 minuti, se si scende alla stazione di Piraineto e si sale su un autobus. Per andare da Palermo a Messina (distanza: 224 chilometri) ci vogliono dalle 2 ore e 50 minuti (24,50 euro) alle 3 ore e 37 minuti (11 euro). Drammatico invece il destino di chi vuole raggiungere Ragusa dal capoluogo siciliano, dato che si va dalle 7 ore e 14 minuti alle 7 ore e 59 minuti, con tre cambi, per coprire 265 chilometri, al costo di 14 euro: più o meno come prendere un aereo e arrivare a New York. Al contrario, solo due ore di treno separano Palermo da Agrigento (8,30 euro) e da Caltanissetta centrale: nel secondo caso, però, bisogna fare sempre un cambio (o alla stazione di Xirbi o a Roccapalumba), e sperare che il convoglio sia in orario. Il problema dei ritardi è infatti un’altra spada di Damocle sospesa sul capo dei viaggiatori. “Abbiamo monitorato 150 treni, 42 di questi sono giunti in stazione in orario mentre gli altri 108 hanno accumulato un ritardo complessivo di 1.294 minuti, pari a 21 ore e 34 minuti” spiega sempre Malaponti del coordinamento pendolari siciliani. Alcuni mesi fa, invece, aveva fatto discutere la cancellazione dei treni a lunga percorrenza, quelli che attraversano lo stretto e uniscono la Sicilia col resto del Paese: erano scesi da dieci a quattro ogni giorno. “Bisogna quindi scendere dal treno e proseguendo la traversata individualmente per poi risalire in carrozza: una procedura faticosa soprattutto per disabili e anziani”, diceva la deputata Celeste Costantino. Una situazione che a ben vedere potrebbe essere sintetizzata mutuando il titolo del celebre romanzo di Carlo Levi: Cristo si è fermato ad Eboli.

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