Addio ai Tfa, i costosi corsi di abilitazione che regalano titoli senza certezze di lavoro. E niente “laurea abilitante”, come sembrava in un primo momento. Arriva la figura del professore apprendista: un solo concorso, che darà accesso ad un percorso unico di formazione e reclutamento, retribuito e non a pagamento, al termine del quale si entrerà in cattedra in maniera definitiva. È la proposta del Partito Democratico per rivoluzionare l’accesso alla professione di docente nel nostro Paese. Una parte secondaria, ma fondamentale, della riforma della scuola che viene discussa in queste settimane in Parlamento.

Emendamento alla delega del DDl
Tutta l’ultima parte del ddl scuola al vaglio della Commissione Cultura della Camera è un’enorme delega al governo sulle materie più disparate. Fra queste, anche la “riforma del sistema per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento ai fini dell’accesso alla professione”. Ovvero: come si diventerà insegnanti in Italia nei prossimi anni. Per tradurre in qualcosa di concreto questa definizione vaga, il Pd depositerà un emendamento che riassume la sua proposta di riforma. Lo firmano Simona Malpezzi, uno dei parlamentari investiti da Matteo Renzi del compito di seguire il provvedimento da vicino, e Manuela Ghizzoni, deputata che si occupa da anni di vicende della scuola: il testo condensa un lavoro che va avanti da mesi all’interno del partito su un tema molto delicato.

Concorso unico per abilitazione e ruolo
L’idea è essenzialmente quella di semplificare il percorso, accorpando la fase della formazione a quella del reclutamento. In futuro ci sarà un unico concorso, a cadenza annuale, per abilitarsi e poi entrare in ruolo. Il requisito di accesso sarà la laurea magistrale nelle materie di competenza, con il conseguimento di 36 crediti in discipline antropo-psico-pedagogiche: un po’ come avviene adesso per il Tfa, gli studenti interessati dovranno scegliere con cura gli esami facoltativi (ma non è escluso che le facoltà organizzino dei curricula ad hoc per gli aspiranti insegnanti). Chi supera i vari test (ovviamente a numero chiuso) accede ad un triennio di apprendistato: il primo anno si consegue un “diploma di specializzazione”, con un corso fra università e scuola (simile in fondo all’attuale Tfa); nel secondo e nel terzo anno, invece, si comincia a entrare in classe, con una presa progressiva di funzioni e responsabilità, prima sotto la supervisione di un tutor, poi in maniera sempre più autonoma.

Tre anni di apprendistato retribuito
Differenza sostanziale: mentre i corsi attuali di abilitazione sono a pagamento (circa 2.500 euro), l’apprendistato sarebbe retribuito (oltre che valido ai fini previdenziali), secondo le regole previste dalla normativa nazionale (si può ipotizzare uno stipendio minimo di 400 euro mensili, ma per i dettagli è ancora presto). Questi “prof apprendisti” fanno parte degli organici delle scuole e vengono utilizzati per supplenze più o meno brevi, inserendosi gradualmente nella realtà scolastica e risolvendo anche i problemi di carenza di personale. Al termine del triennio, in caso di valutazione positiva da parte degli organi dell’istituto (preside, tutor, colleghi docenti, ecc.), il contratto viene trasformato automaticamente a tempo indeterminato, senza ulteriori esami.

Addio tfa, niente laurea abilitante
Oggi, invece, il cammino per diventare insegnanti è abbastanza accidentato. Dopo la chiusura nel 2009 delle vecchie Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (Ssis), l’ex ministro Gelmini aveva istituito il Tirocinio Formativo Attivo, un corso a numero chiuso che permette di conseguire solo il titolo di abilitazione, necessario poi ad accedere al concorso a cattedra. Il Tfa è giunto al suo terzo ciclo ma non ha mai convinto, specie i suoi partecipanti, che affrontano un corso lungo e dispendioso, per poi ritrovarsi senza alcuna garanzia lavorativa. Il governo aveva già annunciato l’intenzione di cambiare, ma ne “La buona scuola” si parlava di una nuova “laurea abilitante”, un 3+2 con biennio di specializzazione pedagogica a numero chiuso. Anche questa pista, però, è stata abbandonata, perché avrebbe anticipato troppo (già a metà della carriera universitaria, intorno ai 21-22 anni) il momento di scelta. Così, nelle intenzioni del Pd, la rivoluzione sarà incentrata sulla nuova figura del professore apprendista.

Dibattito acceso in parlamento
Ovviamente si tratta ancora solo di una proposta. Non sono poche le resistenze, anche all’interno della maggioranza, da parte dell’ala “pedagogista” che vorrebbe conservare il sistema attuale, con un abilitazione più teorica e un concorso a posteriori. Non è escluso neppure che l’articolo venga stralciato e diventi un progetto di legge autonomo, per la delicatezza dell’argomento (le opposizioni sono sul piede di guerra sulle deleghe). Ma un cambiamento è sicuramente necessario, visto che – come scritto anche nel documento “La buona scuola” – “l’abilitazione si è trasformata in uno strumento non per diventare docenti, ma per diventare precari”.

Se l’emendamento fosse approvato insieme al ddl scuola, il governo avrebbe 18 mesi per realizzare la riforma del sistema. Una vera e propria rivoluzione, che richiederebbe anche un periodo di transizione. Ci sarebbe comunque spazio per un terzo ciclo di Tfa (non di più, però). E bisognerebbe studiare delle soluzioni di “sanatoria”, per uniformare al nuovo percorso tutti gli aspiranti docenti senza penalizzare chi è già abilitato (ad esempio i “tieffini” potrebbero essere ammessi direttamente all’apprendistato, senza dover sostenere i test; ma è solo un’ipotesi, al momento prematura). Il dibattito è aperto, la proposta è sul tavolo del Parlamento e farà discutere a lungo. In ballo c’è il futuro di coloro che in Italia, nonostante tutto, sognano ancora di diventare insegnanti.

Twitter: @lVendemiale

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