Il metodo ricorda quello classico della vendita a domicilio. Solo che in questo caso non si tratta di sponsorizzare cosmetici o aspirapolvere, ma tessere del Pd a militanti delusi. Così il partitone a Bologna cerca di frenare l’emorragia di iscritti, che non ha risparmiato nemmeno il capoluogo emiliano, dove in un solo anno si è registrato un calo del 20%. La nuova strategia prevede una sorta di porta a porta, con i democratici impegnati casa per casa, a citofonare nel tentativo di riconquistare la fiducia di chi ha stracciato la tessera. Ma non solo: per la caccia all’iscritto i bolognesi stanno mettendo in piedi una vera e propria task force intergenerazionale, composta da 100 volontari, creata ad hoc per bloccare la fuga e ripopolare la base. “Il principio è semplice: invece che aspettare le persone nei circoli, andiamo direttamente a chiamarle a casa” spiega Alberto Aitini, ex coordinatore dei Giovani democratici di Bologna, e da poche settimane responsabile del tesseramento. Appena arrivato si è trovato davanti numeri poco incoraggianti, in linea con il trend nazionale dell’epoca Renzi: solo nel 2014 il Pd di Bologna ha perso 4500 sottoscrizioni, passando da 19500 a 15mila iscritti. In altre parole, uno su cinque ha deciso di “rottamare” la tessera. Una fuoriuscita costata 60mila euro alle casse del partito. “È un dato fisiologico, ma comunque preoccupante”. Da qui l’idea di pattugliare vie e quartieri, con la bandiera del Pd.

Aitini racconta che “fino a ieri chi decideva di non rinnovare la tessera non veniva richiamato. Non ci provavamo nemmeno. Invece io ho chiesto ai volontari e ai segretari di circolo di contattare i delusi e di fissare un appuntamento per andare a incontrarli a casa. Bisogna capire le loro ragioni, il perché hanno abbandonato la militanza attiva, ascoltarli e poi provare a spiegare loro le motivazioni che hanno portato il partito a fare certe scelte. Lo scopo è convincerli a riprendere la tessera. E in prima linea ci saranno anche dirigenti e segretari”.

Nessun manuale o linee guida al volontario, anche perché “ogni caso è diverso“, ma il piano è comunque curato in ogni dettaglio. E lo sforzo sarà notevole. Tanto che il Pd sta anche mettendo insieme un gruppo di 100 volontari, in parte giovani e in parte vecchie guardie del partito ed ex sindaci, per dare una mano nelle situazioni più difficili. “Inizieranno da maggio e aiuteranno a recuperare tessere nei quartieri dove il crollo è stato maggiore. Saranno di supporto”.

L’idea, continua Aitini, è “invertire la logica del tesseramento. Il circolo non è più la casa naturale del militante, non possiamo aspettarci che le persone vadano lì e chiedano la tessera. Una volta era così, ora non più. È giusto lavorare sul coinvolgimento dei cittadini, ma dobbiamo essere consapevoli che un milione di iscritti il partito non lo avrà mai più”. I tempi sono cambiati, persino in una terra come l’Emilia. Qui fino a una decina di anni fa le tessere non sono mai mancate, così come le persone disposte a sgobbare in cucina alle feste dell’Unità.

“Molti non rinnovano ma continuano a frequentare il circolo: il loro è più che altro un gesto di protesta”. Rolando Rocchetti è un volontario della Bolognina, sezione che ha fatto la storia del partito. Di anni ne ha 73, di cui oltre la metà passata da militante e con la tessera sempre in tasca. Ha visto cambiare segretari e simboli. E ha vissuto i tempi d’oro, quando le tessere raggiungevano numeri a quattro cifre. Oggi gli iscritti superstiti sono poco più di 250, di cui solo il 15% ha meno di 30 anni. “La maggioranza è composta soprattutto da persone con più di 60 anni. Mentre manca quasi totalmente la fascia dei 40enni. Ora però lo spirito è completamente diverso: una volta si faceva la tessera per dire ‘sono iscritto’, mentre oggi la fa solo chi vuole lavorare attivamente dentro il partito”. Tra le pareti dipinte di rosso e i ritratti in bianco e nero di Berlinguer, lui ogni giorno lavora per non perdere adesioni. “Parlo con i delusi, provo a far cambiare loro idea ma non è semplice. Ognuno ha una motivazione diversa: chi ce l’ha con Renzi, chi è rimasto amareggiato da Bersani e chi invece se la prende con gli amministratori locali. Sicuramente una visita a casa e una chiacchierata con un dirigente potrebbero aiutare”.

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