“Turni scomodi all’Expo. Otto su 10 ci ripensano” così titola il Corriere della Sera raccontando di 600 persone che hanno preferito rinunciare a 1300 euro netti al mese. Il pensiero è dunque immediato. La memoria ritorna a quel “choosy proferito dall’allora ministra del Lavoro Elsa Fornero che era stata letteralmente lapidata da improperi e insulti dentro e fuori la rete.

Professoressa, ma allora lei non aveva tutti i torti…
Per prima cosa tengo a ribadire, come già fatto molte altre volte, che diffondere quel termine estrapolato dal contesto è stata una scorrettezza, credo non inconsapevole, di un suo collega che ha volutamente distorto il significato delle mie parole, come tutti possono controllare su Youtube. Quella scorrettezza professionale valse a me molta sofferenza, ma proprio per questo non vorrei riparlarne.

Però nella sostanza lei sosteneva che spesso mancava la volontà di mettersi in gioco sul piano lavorativo. Sapere che il 46 % dei selezionati per lavorare ad Expo ha rifiutato supporta la sua teoria.
Ho sentito la notizia nella rassegna stampa radiofonica, ma poiché ho imparato che spesso la distanza tra ciò che uno legge e ciò che percepisce stando sul luogo è abbastanza rilevante non mi sento di esprimere un giudizio. Tra l’altro, l’articolo non chiarisce la modalità delle selezioni, non dice quanto tempo è passato tra la selezione e la chiamata e dunque non fornisce le informazioni necessarie per valutare. Tra l’altro la notizia era commentata da una madre che raccontava come il compenso non avrebbe coperto le spese che avrebbe dovuto sostenere la figlia per vivere a Milano. Dunque esprimo prudenza nel valutare una notizia che diffusa in questo modo potrebbe rinnovare polemiche delle quali il nostro Paese non ha davvero bisogno. Ci vogliono ben altri dati per comprendere gli atteggiamenti dei nostri ragazzi rispetto al lavoro.

Che ne pensa della proposta di Boeri del “reddito minimo garantito per le persone tra i 55 e 65 anni”?
Registro con una certa soddisfazione, non tanto personale ma come cittadina, in quanto per la prima volta non si pensa di risolvere un problema di carenza di lavoro e di reddito mandando le persone anticipatamente in pensione. Per troppo tempo abbiamo pensato che il pensionamento potesse risolvere molti problemi del paese: dalle ristrutturazioni industriali alla carenza di lavoro. La riforma previdenziale aiuta anche a reimpostare le nostre politiche di welfare nel loro complesso. Occorre destinare più risorse alle politiche per il lavoro, non al pensionamento anticipato. Dobbiamo avere politiche inclusive e sconfiggere il falso mito del “fuori tu che entro io”. Nel primo articolo della legge di riforma del mercato ho indicato due obiettivi per il mercato del lavoro: che sia inclusivo e dinamico.

Intanto il premier ha lanciato la proposta dell’Agenzia nazionale occupazione.
Le strutture da sole non risolvono i problemi. La differenza la fanno le persone che vengono messe a lavorare in queste strutture. In ambito finanziario, concediamo che sia necessari grandi e complicate competenze, e riteniamo che queste giustifichino i lauti compensi che vi si conseguono. Il tema del lavoro è in realtà molto più complesso della finanza, eppure spesso lasciamo che a occuparsene siano addetti che sino al giorno prima si sono dedicate a compiti o a incombenze burocratiche totalmente diverse. Far incontrare domanda e offerta di lavoro è un compito molto delicato che richiede grandi capacità e specifiche conoscenze.

Tema esodati: le sembra serio che un Governo faccia di volta in volta uno stillicidio di coperture al posto di trovare una soluzione definitiva?
Si tratta questo argomento sempre in modo parziale, e come se si trattasse di qualcosa di statico e non dinamico. Ci saranno sempre persone che perdono il lavoro a un’età non lontana dalla pensione. Chiamare “esodati” queste persone non ha senso. Nella discussione non si tiene conto del fatto che molti di loro non si aspettano soltanto il sussidio quanto piuttosto un lavoro. Quello che serve è distinguere tra chi perde il posto ma è ancora pienamente in grado, per età e stato di salute, di tornare ad essere occupato. Se invece si parla di salvaguardie, ricordo che noi eravamo riusciti a assicurarne oltre 130mila.

Argomento sindacati: come possono pensare di essere ancora rappresentativi per la maggioranza di lavoratori obbligati ad aprirsi la partita Iva per lavorare?
Il nostro paese è in declino da 20 anni e la crisi non è l’unica responsabile. Non è dal 2008 che siamo in difficoltà e di certo in questo periodo la qualità del sindacato ha subito un declino in termini di spessore morale e intellettuale. Tutti noi abbiamo in mente alcune figure di alta caratura di cui si è perso un po’ l’imprinting. Detto questo, da ministro ho comunque mantenuto i rapporti con le rappresentanze sindacali. Il premier Renzi, in maniera forse un po’ sbrigativa, non lo ritiene fondamentale.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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