Incrociano le braccia i lavoratori della multinazionale energetica E.On. I sindacati Filctem, Femca e Flaei e Uiltec hanno infatti proclamato per mercoledì 22 uno sciopero nazionale in tutte le centrali italiane del gruppo tedesco. Sempre mercoledì è prevista anche una manifestazione a Roma, davanti la sede del ministero dello Sviluppo Economico. L’astensione dal lavoro riguarda tutto il personale giornaliero (manutenzione, uffici, staff, nuclei, ecc.) e quello turnista degli impianti di Fiume Santo (Ss), Ostiglia (Mn), Tavazzano (Lo), Ferraris (Li), Scandale (Kr), del Centro energie di Ferrara, del nucleo idroelettrico di Terni.

Nel mirino dei sindacati, il ritardo della società, tra i principali player energetici in Italia, nel sottoscrivere un accordo per la tutela occupazionale dei suoi 940 dipendenti. “Addirittura – riferiscono le tre sigle – il 10 aprile scorso E.On si è presentata al tavolo senza nemmeno delineare un percorso chiaro, soprattutto alla luce delle nuove norme previste dal jobs act, sulle modalità attraverso le quali effettuare il passaggio dei lavoratori alle potenziali società acquirenti”.

A far precipitare la situazione, il recente passaggio (che verrà ufficializzato il primo maggio) di buona parte delle attività termoelettriche italiane del gruppo alla ceca Energeticky un Prumyslovy (Eph). Ben 4.500 megawatt, che per la società non erano più remunerative. Un’operazione che secondo i sindacati ha dato il via libera alla vendita a “spezzatino”, visto che sul piatto sono rimasti ancora l’idroelettrico di Terni, i 900mila clienti e la quota del rigassificatore Olt di Livorno. Se invece fosse stato venduto il pacchetto delle attività in una unica soluzione, è il ragionamento delle tre sigle, sarebbe stato più facile trovare un accordo per tutelare i lavoratori.

E.On a parte, sono mesi che i sindacati denunciano la crisi che sta attanagliando il settore: la recessione e la concorrenza delle fonti rinnovabili hanno infatti affossato i consumi delle fonti tradizionali, mettendo fuori gioco più di una centrale. In ballo ci sono 10.000 posti di lavoro. Una fotografia della crisi è stata scattata nei giorni scorsi anche dal ministero dello Sviluppo economico nel consueto rapporto sull’”andamento delle autorizzazioni per la realizzazione o il potenziamento di centrali termoelettriche superiori a 300 MW”. Dai dati emerge che tra marzo 2014 e febbraio 2015 è stata autorizzata la chiusura di sette centrali per 3.678 MW complessivi mentre 2.100 MW erano già stati chiusi nei 12 mesi precedenti. Ma non finisce qui: per altri 4.110 MW è in corso l’istruttoria di messa fuori servizio. Buona parte di questi MW sono di Enel. Del resto il gruppo partecipato al 31% dal Tesoro, lo aveva annunciato nei mesi scorsi: 2,4 GW sono stati chiusi nel 2014 e altri 11 GW (equivalenti a 23 centrali) sono “potenzialmente da dismettere”, aveva detto l’ad Francesco Starace.

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