È da ieri che era stata annunciata l’uscita dell’ultimo video di al-Furqan, una delle due principali case di produzione video dello Stato Islamico insieme ad al-Hayat. Ebbene, in compagnia della solita piccola community di analisti di intelligence e studiosi di propaganda abbiamo aspettato inutilmente fino a tarda notte ma non è uscito nulla. Stamattina, i canali dell’Isis hanno linkato dapprima il solito “account suicida” su Youtube, destinato cioè a fare da civetta ed essere immediatamente cancellato dal provider, e poi la vera pagina con una manciata di link per assicurare la visione più a lungo e a più gente possibile.

Nel frattempo, i fan di al-Furqan hanno intasato Twitter con lazzi e battute sarcastiche indirizzate alla casa di produzione per il tempo che ci stava mettendo a pubblicare. C’è chi ha mandato l’immagine di uno scheletro sdraiato sul divano davanti alla tv commentando «Eccomi mentre aspetto il nuovo video di al-Furqan», altri hanno imprecato «Al-Furqan, perché ci stai facendo questo?», e altri ancora hanno ironizzato sugli analisti d’intelligence, che sicuramente nello stesso momento stavano aspettando anche loro, ritraendone uno coperto di ragnatele e ormai addormentato davanti al computer. Questa ironia e soprattutto questa impazienza da parte dei sostenitori dell’Isis è un fatto nuovo.

Dal tono dei messaggi e dalla provenienza degli account, risulta che questa enorme platea sparsa fra il Medio Oriente e l’Europa è composta prevalentemente da ragazzini. Ed è ugualmente facile dedurre quanta presa abbia fatto ormai la propaganda Isis presso questo pubblico. La strategia di comunicazione rivela qui una certa articolazione. Non è mirata infatti soltanto al reclutamento diretto ma colpisce contemporaneamente diversi altri obiettivi: comunicare che il Khilafah (il Califfato) sta mantenendo le sue promesse ed ha un progetto di lunga durata, far conoscere le condizioni che pone agli altri – ad esempio, i cristiani – perché si rapportino con esso (e, con questo, comunica che l’Isis in un modo o nell’altro vincerà e quindi ci si dovrà per forza fare i conti) e creare consenso anche tra le fasce di pubblico più giovani, quelle che non sanno ancora distinguere tra il sangue dei videogame e quello vero.

Quanto al video, pochi l’hanno visto. Chi è abbonato al Site, la nota agenzia di monitoraggio guidata da Rita Katz, si è limitato a ripetere ciò che la stessa Katz ha anticipato su Twitter non avendo ancora avuto il tempo di analizzare tutto il materiale: “Un nuovo video dell’Isis minaccia i cristiani e mostra l’uccisione di cristiani etiopi rapiti in Libia con colpi di pistola e decapitazioni”. In realtà non è così. Non soltanto. Il video, dal titolo “Until there came to them clear evidence” (ancora una citazione dal Corano, Sura 98 al-Bayyna: “Finché che non giunga loro la Prova Evidente”), in alta definizione e della durata di 29′ e 11″, è una lunga disquisizione sull’Islam e le sue ragioni rispetto al Cristianesimo. Sono ben 11 minuti di “teologia” in cui si dimostra come lo stesso cristianesimo ormai non sia più quello di Cristo – che pure è riconosciuto tra i profeti dai musulmani – ma si sia avviato a diventare ormai un nemico dell’Islam. In quel punto, abilmente, si mostrano immagini di Joseph Ratzinger, e non di Francesco.

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A 11:56 vengono illustrate le condizioni per chi sarà sconfitto dall’Islam: convertirsi, oppure pagare la jizya (una tassa “di compensazione” per i sudditi che non faranno parte della umma, la comunità dei fedeli). Oppure morire. Da 13:21 in poi, inizia una serie di interviste a cristiani che hanno scelto di pagare la jizya e vivono sotto la Dhimma (“protezione”) del Califfato svolgendo i loro mestieri senza che nessuno li minacci più. Si vedono agricoltori, pastori e meccanici al lavoro nelle loro officine tutti soddisfatti di condurre una vita dignitosa a condizioni accettabili. Soltanto da 24:40 in poi viene spiegata la sorte cui è destinato chi rifiuta le prime due condizioni. E qui, negli ultimi 4 minuti, si vedono finalmente gli etiopi rapiti in Libia mentre vengono condotti sul luogo dell’esecuzione in fila indiana in riva al mare.

Dunque, non era affatto il video dell’esecuzione di prigionieri etiopi, come ha frettolosamente affermato chi si è affidato al “sentito dire” in rete o alle sintesi del Site. Si tratta invece di una strategia di comunicazione sofisticata, capace di veicolare più messaggi verso target differenziati. Il tempo che ci hanno messo a farlo uscire è comprensibile per l’accuratezza del montaggio e dalla ricchezza di materiali utilizzati: ci sono perfino lunghe scene di film sulle crociate e sulla rivincita dei saladini, ben scelte, ben montate e perfino con il bilanciamento colore che riporta tutto alle dominanti “terra” e “oro” che caratterizzano il girato. L’impazienza di molti è stata premiata. Resta solo la troppa fretta con cui tanti giornali hanno dato una notizia parziale senza permettere di comprendere di più.

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