C’è un trattato fantasma che si aggira per l’Europa. Un accordo che costruirà tra Europa e Stati Uniti la più grande area di libero scambio mai tentata prima, e che varrà quasi la metà del Pil globale. Un’operazione così imponente che come cittadini dovremmo essere messi in condizione di pensarci bene insieme, di capire come funziona, di capire se ci porterà benefici non soltanto economici, ma anche sociali ed ambientali, visto che il numero di poveri, disoccupati ed esclusi esplode in Europa, come anche nel nostro Paese, mentre i profitti degli speculatori continuano a crescere e anche l’ambiente ne fa le spese. Il Trattato di partenariato transatlantico su commercio e investimenti, o Ttip, invece, viene negoziato in segreto dalla Commissione Europea e dal governo statunitense tanto che se i parlamentari europei vogliono conoscerne i dettagli devono entrare, in apposite sale di lettura predisposte per loro in Parlamento, dopo essersi iscritti ad una lunga lista d’attesa, essere stati perquisiti perché non vi portino telefonini, registratori, ma nemmeno carta e penna. I pochi appunti personali li devono prendere su un’apposta carta chimica, che non può essere fotocopiata. Altrimenti, come è successo all’eurodeputato spagnolo Ernest Urtasun, iscritto al Gruppo dei Verdi, “te li tolgono letteralmente dalle tasche – ha raccontato – un’esperienza molto negativa”.

Eppure il trattato, che è stato lanciato ad agosto del 2013 tocca talmente tanti aspetti della nostra vita quotidiana, che dovremmo conoscerlo bene e ragionarci su in un grande dibattito pubblico. Si perché non sono dazi e dogane, cioè le classiche tasse su import ed export, che fanno problema agli scambi tra Ue e Stati Uniti, già molto fluido se non per pochi settori. Ecorys, un centro di ricerche europeo che dal 2009 ha aiutato la Commissione europea ad impostare il negoziato, ha stilato una lista di “ostacoli” tra i quali, in realtà, troviamo molti strumenti importanti a tutela di cittadini e consumatori: l’etichettatura dettagliata dei prodotti alimentari, il bollino “Ce” sugli elettrodomestici che ne certifica la sicurezza, l’utilizzo degli ormoni della crescita – da noi vietato – per ingrassare di più e più velocemente la carne da macello, l’utilizzo di molti coloranti e conservanti considerati cancerogeni o nocivi tra alimentari, cosmetici e prodotti di consumo, le regole di salvaguardia sociale e ambientale sia per la tutela dei luoghi di lavoro sia per il rispetto del pianeta.

Tutte misure che costano alle imprese perché Ue e Usa in questi campi funzionano in modo tanto diverso che a volte i produttori sono costretti a fare due versioni dello stesso prodotto se vogliono venderlo sui due lati dell’Atlantico. Un costo, lamentano loro. Ma siamo davvero convinti che abbattere controlli e regole che in gran parte garantiscono trasparenza, maggiore sicurezza e qualità per consumatori ed utenti per accelerare il commercio sia una grande idea? Anche perché, stando pure alle stime più ottimistiche, come quelle avanzate dalla Fondazione Bertelsmann, il Pil europeo potrebbe crescere al massimo di uno 0,05% l’anno entro i prossimi dieci anni ma, come ha quantificato James Capaldo della Tuft University del Massachussets, questa operazione potrebbe costare all’Europa tra i 600mila e il milione di disoccupati in più, e nel solo primo anno d’entrata in vigore del trattato.

Dal 20 aprile prossimo a New York i negoziatori europei e statunitensi s’incontreranno per il nono ciclo di trattative, dove cercheranno di capire se il negoziato, che doveva essere concluso almeno in larga parte entro il 2014 ed è ancora in alto mare, potrà essere accelerato e chiuso entro l’autunno, prima che il presidente Obama entri in campagna elettorale. In centinaia di città d’Europa e Stati Uniti il 18 aprile associazioni, movimenti e realtà organizzate e informali si mobiliteranno per dire no a questa corsa al massacro. In Italia il “trattato fantasma” verrà simbolicamente “smascherato” in mattinata con flash mob e iniziative in circa trenta città italiane. Successivamente, a Roma dalle 12 si fa “eat-in” a Villa Pamphili con cibo “TTIP free” e dalle 16 in piazza Santi Apostoli, a Milano in Piazza Duomo, a Modena in Piazza Mazzini, a Napoli in Piazza Dante, a Cosenza in Piazza XI settembre, e si moltiplicano ora dopo ora le piazze tematiche Stop TTIP con performance e musica, per allargare la discussione e la campagna a quante più persone possibili e dare un segnale chiaro al Governo italiano e a Bruxelles: no ad una corsa al ribasso contro la democrazia e i diritti di tutti per poche opportunità per i soliti noti.

di Monica Di Sisto, vicepresidente dell’Osservatorio sul Commercio Internazionale Fairwatch

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