Dal punto di vista urbanistico ed energetico i capannoni industriali sono quanto di più brutto ed insensato ci tocca vedere in giro per l’Italia.

Forme squadrate, realizzati con pannelli prefabbricati, caldi d’estate e freddi d’inverno, i capannoni industriali sono tra i principali artefici di quel consumo di suolo agricolo che costituisce una delle piaghe del nostro amato (?) paese.

Ché se poi almeno avessero l’obbligo energetico di utilizzare pannelli solari sui tetti, oppure piantumature, come adesso è previsto in Francia…Nulla. Qui in Italia non c’è nessuna prescrizione per le nuove realizzazioni e viene da dubitare che ci sia altresì una qualche forma di programmazione urbanistica nei comuni, visto quanti capannoni recano la malinconica scritta affittasi o vendesi.

Quando il comprensorio di Langhe, Roero e Monferrato chiese il riconoscimento Unesco come patrimonio dell’umanità, fummo in tanti a chiederci: “Ma anche i capannoni industriali che deturpano il fondovalle diventeranno patrimonio dell’umanità?”. E infatti si ebbe il buongusto di chiedere che il riconoscimento fosse limitato alle colline che rappresentano il paesaggio vitivinicolo.

Come buona parte degli ambientalisti, io sono un sognatore, e, quando vedo dei capannoni desolatamente inutilizzati, mi viene da pensare quanto sarebbe bello che venissero abbattuti, e rinascesse la natura al loro posto.

Il 14 aprile il sogno si è in parte minima avverato. Un capannone industriale di circa 500 mq a Nizza Monferrato è stato abbattuto dagli stessi proprietari, che lo ritenevano brutto ed invasivo (essi acquistarono la cascina con capannone annesso). Una bella notizia, si dirà. Ci sono anche degli italiani illuminati.

In realtà, i proprietari si chiamano Maria Evi Volpato e Karl Goran Karlsson. Sono svedesi.

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