E’ di qualche giorno fa la sospensione di Paola Saluzzi dal programma che conduceva su Sky. Rea di tweet offensivo ai danni di Fernando Alonso. La Saluzzi è solo l’ultima vittima illustre di Twitter (benché lontana dalle vette di ignoranza raggiunte da altri suoi colleghi e non) e della messaggeria web. Garbata e pacata in video, anche lei è inciampata nella trappola della condivisione precipitosa.

I maleducati, gli irruenti, i facinorosi esistono da sempre (la conduttrice a mio avviso non rientra in queste categorie) solo che ora, con la possibilità di dar loro parola a portata di click, trovano una cassa di risonanza – generalmente di loro simili – che prima non avevano. L’accessibilità di espressione fa sì che il tempo di uscita di un’idea nata dalla testa, esca dalla bocca – via mano – in modo quasi istantaneo. E privata di qualsiasi riflessione.

Volendo fare un paragone eccessivo, sarebbe come far trovare una pistola carica, appoggiata sul tavolino, a qualcuno che ha appena trovato il proprio partner a letto con un altro/a. La tentazione è una forza che non tutti, in alcuni momenti della giornata, riescono a controllare. Colpa anche di un mondo (virtuale e non) che non incentiva la meditazione sugli eventi ma piuttosto premia il (seppur mediocre) dinamismo. Piuttosto che ponderare le parole, prevale la voglia di scontro, provocazione, l’imporsi sull’altro. Di rimarcare la propria convinzione, anche urlando.

In 140 caratteri si comprime una sensazione d’insieme causando, per scarsità di eloquio, fraintendimenti o attacchi ingiustificabili. Quando ero solo un’adolescente istintiva, mia madre mi ripeteva spesso: “Erica, prima di parlare conta fino a dieci e poi taci”. Parole indigeste per una ragazzina che voleva avere l’ultima parola su tutto, ma ancora piene di senso in tempi moderni. Le idee balorde, ma che in momenti di scarsa lucidità sembrano geniali, vengono a tutti. Ma chi lavora nelle istituzioni, nella politica, chi ha un pubblico al quale rendere conto, dovrebbe imparare a gestire i propri scompensi ormonali e ricordare, a modi mantra, di “riflettere prima di schiacciare invio”. Cinque, dieci, cento volte al dì.

Chi non si adegua ai tempi che cambiano è fuori moda, ma in tutta onestà, i social network hanno migliorato la qualità della nostra vita? Sempre più spesso assistiamo a risse mediatiche che sterilizzano un ipotetico dibattito fino a sintetizzarlo al limite estremo. E il più delle volte, quel che rimane, sono solo insulti reciproci. L’impulsività insita dei social esalta la pancia degli utenti, e si sa che le viscere non sono sempre un bel posto da frequentare.

Una volta si poteva dare a una persona il beneficio del dubbio. Poteva essere intelligente o ignorante, stupida o colta. Per scoprirlo bisognava conoscerla. Oggi, 99 su 100, basta guardare il suo profilo Facebook. Scripta manent. Questo è quello che ha fregato la Saluzzi, sospesa per aver scritto che Alonso era un ‘pezzo di imbecille’.

Mentre chi parla di ‘neri mangiatori di banane dai nomi fantascientifici’ viene promosso a capo della Figc. Perché qui da noi, più che in altri posti, le parole volano e la gente dimentica. E non riesce a imparare che un bel tacer non fu mai scritto.

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