Grazie a una inchiesta rigorosa e documentata dell’Espresso, per la penna di Emiliano Fittipaldi, sappiamo che la moglie del ministro dell’Interno Angelino Alfano, Tiziana Miceli, “ha appena avuto cinque consulenze dalla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia che fornisce servizi al ministero dell’Interno e a quello dello Sviluppo Economico. In una dichiarazione firmata il 24 febbraio 2014 la Miceli dichiara di essere già «titolare di incarichi di assistenza legale conferiti da Consap», ma tra fine 2014 e l’inizio del 2015 lo studio della Miceli (il poco conosciuto RM-Associati, di cui risulta socio anche Fabio Roscioli, avvocato di Alfano) ha ottenuto altri cinque incarichi, l’ultimo a fine gennaio”. Sappiamo anche che la Miceli “in passato ha ottenuto altri incarichi da alcune amministrazioni pubbliche siciliane (dalla provincia di Palermo all’Istituto autonomo case popolari di Palermo) sempre controllate dal centro destra, mentre nel 2014 la moglie di Angelino risulta aver difeso anche gli interessi di una società (la Serit) insieme al collega Angelo Clarizia”. Sappiamo infine che “Clarizia è socio in affari di Andrea Gemma, amico storico di Alfano e altro vertice di peso della sua rete relazionale, in passato consigliere ministeriale a cachet e oggi membro del cda dell’Eni e commissario liquidatore di aziende importanti come la Valtur”.

Se questi fatti saranno confermati siamo già oltre la misura perché un esponente politico ravvisi l’opportunità di dimettersi. Qui non è questione di rilevanza penale dell’atto contestato. Anche il rolex al figlio di Lupi e il contratto di consulenza con imprese in affari con lo Stato non avevano rilievo di ordine giudiziario. Ma compromessa era l’immagine dell’ex ministro delle Infrastrutture. E Angelino Alfano non può godere di un trattamento diverso.

Il ministro dell’Interno, per di più segretario di un partito di governo, non poteva non sapere che ogni tipo di rapporto che sua moglie attivava con la Pubblica Amministrazione, ancorché lecito, era viziato dalla propria posizione, dalla capacità anche passiva di interferire o di essere percepito come soggetto capace di… Ed era obbligato a prospettare alla consorte l’inopportunità di ricevere incarichi. O – all’inverso – la moglie, se proprio amava la sua professione e teneva alle sue relazioni, doveva chiedere al marito il sacrificio di rinunciare alla politica per non metterla in difficoltà.

A quanto pare nulla di tutto ciò è accaduto. Perciò le dimissioni restano l’unico dignitoso riparo a cui il ministro ha diritto. Renzi glielo dica.

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